Grana Padano, made in Italy, agropirateria – A proposito di reati agroalimentari e del prossimo evento digitale di Cibo Diritto
Continua senza sosta il parassitismo illegale dei principali marchi del made in Italy alimentare, ragione in più per chiedere una seria repressione del fenomeno
“I soci del Consorzio di tutela Grana Padano esportano il 41% della produzione per 1,3 miliardi di euro ma il prodotto consumato come se fosse Grana Padano, e non lo è, è quasi 3 volte il valore, quasi 3 miliardi di euro. Se noi riuscissimo ad avere norme più trasparenti verso i consumatori probabilmente l’export arriverebbe in breve tempo a 2 miliardi di euro»: sono parole del presidente dello stesso Consorzio a margine della recente assemblea annuale e rendono l’idea di alcuni soltanto dei valori in gioco quando si parla di contraffazione industriale e frodi in commercio seriali – ovviamente illegali – di un prodotto alimentare.
Per contrastare questa forma di sistematico – ed economicamente esiziale – parassitismo commerciale, forse quelle che servono non sono solo “norme più trasparenti verso i consumatori”: sono anche norme che garantiscano una seria tutela penale di quei prodotti, ossia un’effettiva ed efficace repressione di questo fenomeno e di quelli simili.
In questo senso, potrebbe risultare utile la creazione e la concreta attuazione di fattispecie di reato che prevedano un’adeguata sanzione per chiunque ‘al fine di trarne profitto, commette in modo sistematico e attraverso l’allestimento di mezzi o attività organizzate‘, la frode in commercio di alimenti o il commercio di alimenti con segni mendaci o, ancora peggio, la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
Figure di reato, cioè, come quella di “agropirateria” – di cui sopra si è riportato il testo – prevista dal disegno di legge di riforma dei reati agroalimentari ancora all’esame del Parlamento a quasi sei anni dalla redazione del relativo progetto organico a opera della Commissione nominata a questo fine dall’allora Ministro di giustizia.
Un delitto che, se quel ddl divenisse legge dello Stato, sarebbe punito, nei primi due casi, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 15.000 a euro 75.000; nel terzo caso con la reclusione da tre a sette anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000. Oltre a varie sanzioni accessorie e alla “confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito.”
Insomma, un reato serio, con sanzioni adeguate per contrastare un fenomeno criminale che continua – anche in tempi di pandemia – a succhiare in modo illegale risorse preziose a una delle filiere economico – produttive più floride e rappresentative dell’economia nazionale.
Ce ne occuperemo a breve in un evento organizzato da questo blog in collaborazione con partners di grande importanza.
State sintonizzati!
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