Etichettatura alimentare: anarchia degli Osa e idee utopiche
Tradotto: le sanzioni da sole fanno poca cosa; occorre informazione vera verso i consumatori. E questa è difficile da fare.
Si aspettava il decreto nr. 231/17 (contenente la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento UE nr. 1169/2011) come l’arnese normativo che avrebbe sconfitto gli imbroglioni dell’etichettatura dei prodotti alimentari, riportando le regole alle distratte etichette che vagano nella grande e piccola distribuzione, nonché le ‘artistiche’ informazioni rese dagli ho.re.ca..
A distanza di mesi dall’entrata in vigore di tale decreto rimane un dato (non scientifico, quanto esperienziale) per il quale c’è chi continua a lavorare (leggasi etichettare) bene e a norma e c’è, invece chi continua ad ignorare volontariamente o involontariamente tutta la non facile disciplina del come rendere le giuste indicazioni sugli alimenti.
PERCHÉ CIÒ ACCADE?
Lo stato delle cose è il seguente:
- troppe norme (inevitabili, evidentemente) in ragione delle quali il caos regna sovrano… anche fra i tecnici, figuriamoci tra gli OSA;
- le sanzione vengono irrogate ma, per me ragioni statistiche di numeri, gli Operatori del Settore accettano di rimanere ‘irregolari’: «male che va, pago la multa!», risparmiando (nell’immediato) i soldi dei consulenti;
- tanti OSA (sempre e solo da dato esperienziale) affermano convinti: «proprio a me devono controllare» o ancor peggio «ma io sono piccolo, figurati!».
Insomma, regna — soprattutto nelle piccolissime realtà — un’anarchica gestione della compliance, non solo per le ora dette ragioni, quanto anche per il fatto che la conformità è ancora considerata (dagli operatori) una cosa «che toglie tempo al vero lavoro», un adempimento «per chi non c’ha nulla fare», un obbligo per «per chi pensa all’apparenza e non alla bontà del prodotto», «una spesa che ora non possiamo permetterci»… e non trova struttura, purtroppo, l’idea che la conformità normativa delle indicazioni in etichetta (vs menù, e-commerce ecc.) riguarda la sicurezza alimentare, quindi la salute di ciascuno.
CHE FARE?
Forse la scelta giusta sarebbe quella di puntare ad una formazione ed informazione costante, penetrante, seria verso i consumatori da parte di soggetti terzi al ‘mondo-fenomeno FOOD’ (quindi utopia).
Come sempre, sono/sarebbero i consumatori che possono/potrebbero veramente influenzare le scelte dei produttori.
L’attenzione dei consumatori all’etichetta è oggi viva soltanto in pochi, ovvero, in coloro che per scelta volontaria studiano da sé la normativa, si documentano, confrontano ecc, e in coloro che (soggetti allergici, persone che seguono particolari regimi alimentari) hanno fatto della lettura e comprensione dell’etichetta un’attività ordinaria ed obbligatoria prima di inserire il prodotto nel carrello (offline o online).
…MA COME INFORMARE VERAMENTE E LIBERAMENTE i CONSUMATORI?
L’informazione di quanto ruota attorno al cibo non è cosa facile. Si tratta di sistemi complessi nei quali ogni categoria che vi partecipa ‘tira l’acqua al proprio mulino’.
L’idea di affidare la formazione dei consumatori a soggetti terzi al mondo food – come detto – è cosa irreale: vera utopia.
Ormai è tutto claims (ognuno suffragato da prove scientifiche). E le nicchie ‘libere’ da falsi entusiasmi e rapide ideologie alla moda sono situazioni rare e difficili da intercettare.
Il modello da seguire per rendere una vera e libera informazione, sarebbe allora quello di partire da un vecchio principio olistico: il cibo è vita.
Ma la società pare aver scordato ciò: il cibo è oggi (non solo normativamente parlando) prevalentemente merce e non già nutrimento.
Dirò un’ovvietà, più di quelle già dette: nella nostra società liquida, assai disordinata (quanto meno) sul fronte alimentare, vince chi riesce a comunicare, qualsiasi sia la qualità del contenuto.
È l’applicazione pratica del limite sillogistico: «se A allora B», il quale restituisce un dato certo ma non necessariamente vero… sicché tutto è possibile. Almeno fino a quando è permesso.
Come con l’etichettatura: tutto è permesso, almeno fino a quando non arrivano le sanzioni. Almeno fino a quando in etichetta si potrà (con una certa libertà) continuare a dire (o a non dire) quel che si dovrebbe. Tanto il prodotto si vende lo stesso.
- «Scusi ha un cornetto senza zucchero?».
- «Certo».
- «Per piacere nel ginseng metta solo dolcificante».
- «Oh che bel telefono che hai acquistato».
- «Sì ha un sacco di funzioni e caratteristiche… è costato un po’ ma ne è valsa la pena. Tanto lo pago a rate».
C. «Che ordino da mangiare?».
D. «Prendi quello che vuoi; non spendere troppo però».
Massimo Palumbo
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