Acque reflue di frantoi e fertirrigazione: una relazione a rischio di reato


Il legale rappresentante di un frantoio viene condannato per il reato di “gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi”.

Il fatto contestatogli è quello di aver “smaltito in assenza di autorizzazione rifiuti non pericolosi, costituiti da reflui di frantoio oleario, interrando una tubazione che consentiva lo sversamento dei reflui nei terreni a valle del bacino di stoccaggio”. Reato commesso in concorso con l’affittuario del terreno nel quale si trova il bacino di stoccaggio delle acque.

Gli imputati ricorrono per cassazione sulla base di un motivo di fondo: “l’attività svolta dal C., quale affittuario dei terreni della Fattoria F., era autorizzata alla fertirrigazione (costituente regolare pratica agronomica, consistente nella distribuzione uniforme di concimi organici o minerali sul terreno), che veniva, a sua volta, svolta in conformità alle prescrizioni della autorizzazione.”

La Corte di Cassazione (Cass. pen. Sez. III, Sent.,  – ud. 27-06-2018 – 21-11-2018, n. 52422) rigetta entrambi i ricorsi fondamentalmente in forza di una ragione di natura processuale: quelle dedotte dagli imputati sono questioni di merito, in quanto tali non sindacabili dalla Suprema Corte che, com’è noto, è Giudice solo di legittimità. E la motivazione del Tribunale, in questo caso, è insindacabile in chiave di legittimità perché congrua sotto il profilo logico – giuridico.

In particolare, il giudice di merito “pur dando atto del possesso da parte della Azienda agricola F. della autorizzazione alla fertirrigazione, allo scopo di reimpiegare le acque di vegetazione, cioè le acque di lavaggio impiegate nella attività di frangitura delle olive, mediante lo spandimento sui terreni oggetto della autorizzazione, con un mezzo agricolo dotato di cisterna e pompa irroratrice, ha evidenziato la diversa situazione accertata dalla polizia giudiziaria in occasione del sopralluogo”. Situazione che era contraddistinta fondamentalmente dalla presenza di una tubatura collegata al bacino di stoccaggio con funzione di “troppo pieno, che consentiva il defluire delle acque in eccesso rispetto alla capacità del bacino, mediante un’altra tubatura, che per circa 80 metri correva interrata a valle verso gli appezzamenti agricoli, per poi riaffiorare facendo defluire le acque per oltre 200 metri nei campi, sui quali per lunghi tratti si erano formati ristagni per l’eccessiva quantità di acque ricevute.”

Dopo aver accertato questi elementi, erano state effettuate, nella fase di merito del procedimento, anche analisi, che, “eseguite sulle acque prelevate sia nel bacino sia in corrispondenza del punto di riafforamento della tubatura, avevano dato esito positivo per acque con alta percentuale di polifenoli, indicativi della provenienza delle acque dalla frangitura delle olive: sulla base di tale condizione dei luoghi è stato, quindi, ritenuto che fosse svolta una attività di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, è cioè delle acque provenienti dalla lavorazioni delle olive, o comunque di acque contaminate dai residui delle prime presenti nel bacino di stoccaggio, in assenza di autorizzazione, non essendo idonea a far ritenere lecita detta attività l’autorizzazione alla fertirrigazione, in quanto lo smaltimento dei rifiuti avveniva in tutt’altro modo.”

Per tutte queste ragioni, la Corte di legittimità ritiene l’accertamento effettuato dal Tribunale “logico e coerente con gli elementi a disposizione”, oltre che conforme all’orientamento interpretativo della stessa Suprema Corte secondo cui “integra il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, lo smaltimento, lo spandimento o l’abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio oleoso, potendosi applicare la disciplina prevista dalla L. 11 novembre 1996, n. 574 (quella che disciplina la “utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari”, ndr) ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità ai fini agricoli“.

La conseguenza è l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati e la loro condanna al pagamento delle spese processuali in favore della Cassa delle ammende.

 

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