Alimenti in cattivo stato di conservazione e sequestro del ristorante – Libertà di iniziativa economica e diritto alla salute: un rapporto difficile


I Nuclei Antisofisticazioni dei Carabinieri (NAS) effettuano un controllo in un ristorante.

Vi rinvengono alimenti destinati alla somministrazione ai clienti in cattivo stato di conservazione. In particolare, riscontrano che l’esercizio è privo dell’abbattitore di temperatura, dispositivo necessario per il raffreddamento rapido dei cibi freschi, e ha solo due celle frigorifere. In una di esse si scoprono cibi originariamente freschi, ma mal congelati, tanto da esser quasi totalmente coperti di brina. I cibi in questione, inoltre, sono privi di etichetta e delle indicazioni necessarie per la cd. tracciabilità; alcuni sono anche scaduti.

L’unica difesa del ristoratore è quella per cui egli aveva rifornito il ristorante di merci in previsione del futuro acquisto dello stesso abbattitore.

Il giudice delle indagini preliminari dispone il sequestro preventivo non solo degli alimenti ma dell’intero esercizio commerciale e delle relative licenze, contestando il reato di cui all’art. 5, l. 283 del 1962 (detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione), quella che è ancora oggi una legge centrale in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari.

Il tribunale del riesame conferma il sequestro.

La questione arriva in Cassazione e questa rovescia sostanzialmente i provvedimenti emessi dai giudici di merito, annullando la misura cautelare limitatamente ai locali e alle autorizzazioni amministrative (Cass. Pen. – Sez. III, Sent. 27\12\2018 n. 58328).

La motivazione: il Tribunale del riesame non ha spiegato per quale ragione fosse necessario il sequestro preventivo, non solo della merce in cattivo stato di conservazione, ma anche dei locali e delle licenze commerciali.

Secondo la Corte un sequestro così ampio “si risolve in una misura interdittiva che anticipa indebitamente la sanzione prevista” dalla norma del 1962.

Quindi, a parere della Corte di legittimità, è imprescindibile una motivazione adeguata di una misura cautelare così incisiva sul patrimonio e sull’attività economica di un soggetto, anche in presenza di un reato di pericolo (che si consuma, cioè, in maniera assai anticipata) come quello in questione.

Al netto delle altre questioni giuridiche, pure significative, affrontate nella sentenza, il tema nevralgico che si agita sotto questo provvedimento è il rapporto tra tutela dei diritti di proprietà privata e di libera iniziativa economica e tutela di diritti e beni giuridici di interesse pubblico, a partire da quello fondamentale alla salute nonché, nel caso di specie, dell’ordine alimentare, categoria particolarmente cara alla stessa Corte di Cassazione.

Rapporto che risulta sistematicamente assai complesso e la cui concreta gestione giudiziaria finisce spesso per dipendere, in buona parte, dalla “sensibilità culturale” dell’operatore del diritto.

Ma di questo si parlerà in altra occasione.

 

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