Appropriarsi senza autorizzazione di un animale selvatico è furto aggravato ai danni dello Stato: lo ribadisce la Cassazione


P. L. viene “condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro centoventi di multa in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625, n. 7, cod. pen., perché era sorpreso mentre gettava un pesante sacco all’interno del cassonetto, contenente i resti di un capriolo, essendosi, pertanto, impossessato di un animale selvatico senza autorizzazione venatoria.”

L’imputato impugna per Cassazione la sentenza della Corte d’appello sulla base di una serie di motivi.

Il più interessante in questa sede è il secondo: inesistenza di attività di caccia da parte dell’imputato e, quindi, non configurabilità del furto venatorio a suo carico.

La Cassazione rigetta il ricorso (Cass. pen., Sez. IV, 30 aprile 2020, n. 13506).

In merito al motivo su indicato, in particolare, i Giudici del Palazzaccio affermano che “la legge sulla caccia 11 febbraio 1992, n. 157 non esclude in via assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio“.

Al contrario, secondo la Suprema Corte, la legge in questione prevede tale esclusione solamente in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30 e 31, che non esauriscono tutti quelli di appropriazione della fauna. I quali devono ritenersi vietati in base ad altri precetti contenuti nella legge stessa.

Ne consegue, secondo la Cassazione, “che il reato di furto è stato espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell’art. 30 e da tutto l’art. 31 in questione e, cioè, quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che violi la stessa e cacci di frodo, mentre il bracconiere senza licenza non rientra in questa prima parte dell’art. 30, in tutto l’art. 31 e nessun’altra previsione specifica, per cui il furto venatorio appare ancora applicabile a suo carico, essendo la fauna patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1, L. cit.) e restano dunque intatti i vecchi presupposti giuridici del “furto venatorio.” Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato, pertanto,” concludono i Giudici di legittimità, “è ancora oggi applicabile nel regime della L. n. 157 del 1992 con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di licenza di caccia.”

Con questa sentenza, la Corte di legittimità ribadisce un fondamentale punto fermo: gli animali selvatici fanno parte del patrimonio dello Stato; più precisamente, di quel pezzo di patrimonio di cui non si può disporre. Quello di maggior pregio e importanza, sotto vari profili.

Per questa ragione, non possono che godere di una tutela penale piena ed effettiva.

E’ una buona notizia: per la tutela dell’ambiente e per il livello di civiltà giuridica di questo paese.

 

 

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