“Biodistretto Trentino”: la rete delle campagne sostenibili si allarga. Mentre non si hanno notizie del disegno di legge sul bio.


8000 firme per un Trentino biologico!

Questa la sfida, decisamente intrigante, che un gruppo di cittadini e produttori trentini dallo sguardo lungo ha lanciato con un referendum propositivo nella provincia autonoma: se si raggiungerà quel quorum entro la fine di marzo, si terrà la prima consultazione popolare in Italia per istituire un distretto biologico grande quanto un’intera provincia, quella di Trento per l’appunto.

E le finalità di questa operazione esplicitate nel testo del quesito referendario fanno capire in maniera immediata e inequivoca il senso della scelta di campo per il bio e gli interessi in gioco: tutelare la salute, l’ambiente e la biodiversità.

Cosa sia, poi, un biodistretto i promotori del referendum lo spiegano in modo altrettanto chiaro nel loro sito: “un’area geografica naturalmente vocata al biologico dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo (filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio).”

In pratica, un’idea altra, al contempo, di gestione di un territorio – nel senso più ampio – e di sistema produttivo che si concretizzi invece che nella “classica” estrazione di profitti, più o meno predatoria, in creazione di valore, economico, ecologico e culturale.

Insomma, qualcosa di simile a un’idea altra di convivenza civile, detta senza alcuna forzatura retorica.

Ma dove e come è regolamentato un “biodistretto”?

Una legislazione nazionale dedicata in modo specifico e organico a questa entità, di fatto, manca ancora.

Allo stato dell’arte, su base statale, il riferimento normativo più rilevante è l’art. 13 del D. Lvo 228\2001 intitolato “Distretti del cibo” che al comma 1 afferma: “Al fine di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l’inclusione sociale, favorire l’integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l’impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari, sono istituiti i distretti del cibo.” Tra questi, alla lettera h) del comma successivo, sono previsti: “i biodistretti e i distretti biologici, intesi come territori per i quali agricoltori biologici, trasformatori, associazioni di consumatori o enti locali abbiano stipulato e sottoscritto protocolli per la diffusione del metodo biologico di coltivazione, per la sua divulgazione nonché per il sostegno e la valorizzazione della gestione sostenibile anche di attività diverse dall’agricoltura.”

Vi sono poi le varie normative regionali che certa dottrina classifica in questo modo:

– leggi regionali collocate all’interno del modello sistematico sui distretti industriali (e poi sui sistemi produttivi locali), introdotto dalla legge 317/1991 e poi dalla legge 140/1999;

– leggi e provvedimenti regionali che fanno riferimento alle strade del vino o dell’olio;

– leggi regionali che utilizzano le definizioni di distretti rurali e distretti agroalimentari di qualità introdotte dal D. Lvo 228/2001.

A livello di Unione Europea, invece, il nuovo regolamento sull’agricoltura biologica (Reg UE n. 848/2018), che diverrà operativo a partire dal 1 gennaio 2021, introduce importanti novità che possono riguardare indirettamente i distretti biologici e i loro protagonisti: in primis, la certificazione di gruppo per i piccoli agricoltori. La possibilità di accedervi è subordinata, oltre che a precisi requisiti individuali, anche all’individuazione di un “sistema per i controlli interni che comprende una serie documentata di attività e procedure di controllo, in base alle quali una persona o un organismo identificati sono responsabili di verificare il rispetto del presente regolamento da parte di ciascun membro del gruppo.” (art. 36, comma 1, punto g).

In tal senso, quindi, è immaginabile per i distretti biologici una funzione di supporto organizzativo ai gruppi di operatori che potrebbero formarsi sul territorio, specialmente inerente ad alcuni requisiti, come per esempio la costituzione di un sistema di commercializzazione comune dei prodotti.

C’è di più: il distretto potrebbe anche essere inquadrato come organismo controllore, incaricato di verificare il rispetto del regolamento.

Né si può, sulla base della lettera della legge su citata, escludere che i distretti possano addirittura costituirsi, essi stessi, come gruppi di operatori veri e propri, dato che, in alcuni di essi, gli agricoltori aderenti possiedono già i requisiti dimensionali posti dal regolamento.

Insomma, gli spazi per questa nuova istituzione locale sembrano ariosi e agibili, a partire dalla prioritaria sede unionale.

Naturalmente, non sono tutte rose e fiori. C’è anche una buona rappresentanza di spine.

Sopra si accennava al fatto che l’ordinamento italiano è carente di una normativa dedicata ai biodistretti, specifica e organica; ma soprattutto aggiornata.

Le attuali basi giuridiche nazionali risalgono a quasi un ventennio fa, come si è visto.

In questi vent’anni, l’agricoltura biologica ha registrato una crescita tumultuosa, diventando un fenomeno economico sempre meno marginale e “di nicchia”.

I biodistretti sono stati sull’onda bio: in dieci anni, dal 2009 al 2019, partendo dal pionieristico distretto del Cilento, sono arrivati ormai a 40, 32 già operativi e 8 in costituzione.

Ci vuol poco a intuire che, in un quadro socio – economico così radicalmente mutato in un decennio, una legislazione vecchia di vent’anni mostri la corda.

Per questa e altre ragioni, il Disegno di legge sull’agricoltura biologica (n. 988), attualmente all’esame del Senato, prevede un lungo articolo – il 13 – tutto dedicato ai distretti biologici, a integrazione della norma del 2001 sopra riportata: definizioni, regolamentazione, funzioni.

Tra le varie, rilevantissime previsioni, qui se ne cita una sola: quella per la quale “le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono individuare criteri specifici sulla base dei quali attribuire priorità al finanziamento di progetti presentati da imprese singole o associate o da enti locali singoli o associati operanti nel territorio del distretto biologico o dallo stesso distretto biologico.

Se una disposizione del genere diventasse realmente norma dello Stato, l’obiettivo – ormai fondamentale per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica; per non dire per le residue chances di salvezza del pianeta dalla crisi climatica ed ecologica – di favorire al massimo l’opzione agroecologica da parte dei contadini rischierebbe davvero di uscire dal mondo delle idee o, peggio, delle occasioni da parata per diventare prospettiva concreta e realizzabile, a scapito dell’agricoltura “convenzionale”: ossia, quella che continua a essere una delle principali fonti di riscaldamento e di inquinamento del globo.

Forse, anche per questo il cammino parlamentare di quel disegno di legge è così irto di insidie. Per non dire disseminato di mine antiuomo.

 

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