Bollicine sostenibili
Su questo blog, ci siamo occupati di recente della vicenda della Doc Valdarno di Sopra, il cui Consorzio di tutela ha avviato la procedura di modifica del disciplinare di produzione, in modo da farne, si scriveva, “la prima doc d’Italia, e forse d’Europa, bio per disciplinare”: in pratica, per poter fregiare il proprio vino del titolo di Valdarno di Sopra, un produttore dovrebbe necessariamente aderire al metodo biologico.
Ci torneremo, data la rilevanza della questione.
E’, però, doveroso operare una rettifica: probabilmente, la primogenitura su scala europea di un’iniziativa del genere non è dei valenti viticultori toscani, bensì di altrettanto pionieristici vignaioli spagnoli; catalani, più precisamente.
Dalla parte spagnola dei Pirenei, infatti, nella regione del Penedès, si susseguono 32 mila ettari di vigneto e 250 Cantine: è la patria del Cava. Un angolo di Spagna dalla vocazione enologica secolare: spumanti che risultano tanto raffinati da competere ad armi pari, o giù di lì, con le ben più note bollicine francesi. L’exploit del vino spagnolo, peraltro, fu dovuto anche al disastro viticolo provocato nelle vigne transalpine dalla famigerata fillossera.
Ebbene, ormai dall’aprile 2013, la denominazione Penedès è stata la prima al mondo a convertire al biologico tutta la produzione di vino spumante (fonte Ifoam), conquistandosi, con ciò, un indubitabile e benemerito primato eco-enologico.
Quello delle bollicine, invero, risulta un campo di esperimenti assai virtuosi in questo senso, anche in alcune vigne italiche.
Si è già accennato, in altro post, alle novità “verdi” che arrivano dal mondo del Prosecco, almeno di quello Docg.
Spostandoci un po’ più a ovest, nel bresciano per la precisione, troviamo un esperimento simile, ma molto più avanzato e, soprattutto, codificato: un “Regolamento sull’uso degli agrofarmaci nei comuni della Franciacorta Docg”, altra zona a celeberrima vocazione per gli spumanti di gran pregio.
Il testo normativo in questione (perché di questo si tratta a tutti gli effetti) “ha lo scopo di normare le modalità di distribuzione dei prodotti fitosanitari sui vigneti, laddove i contesti urbani coesistono con l’attività agricola”, si legge al punto 1.1.
Dichiarazione d’intenti che, di suo, rende l’articolato in questione oltremodo meritevole di attenzione, per le note ragioni relative agli “effetti collaterali” degli agrotossici su chi li usa, ma anche su chi ha la scarsa fortuna di vivere nei pressi dei posti di maggiore irrorazione. E i vigneti sono sedi assolutamente di elezione, in questo senso.
L’interesse, peraltro, cresce con lo scorrere del testo, quando si incontrano concetti come “aree di confine, aree sensibili, fascia di rispetto, divieti” (per esempio, di “utilizzo di prodotti fitosanitari per la difesa della vite e diserbanti classificati in etichetta come Tossici (T) e Molto tossici (T+)”; di “trattamenti fitosanitari con mezzi aerei”…)
L’elemento che, però, rende questo un testo giuridico, quindi cogente, a tutti gli effetti – in quanto tale assai diverso dai vari “protocolli”, “carte d’intenti”, “elenco di buone pratiche”… – è la presenza di sanzioni ben precise e codificate: “Salvo diverse disposizioni di legge, in particolare salva l’applicazione delle sanzioni disposte dalle norme specifiche in materia di utilizzo dei prodotti fitosanitari e di smaltimento dei relativi contenitori, alle violazioni del presente Regolamento si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 a 500 euro.”
Non proprio una sanzione draconiana, certo; ma una sanzione seria.
Ossia, quello che serve a provare davvero a garantire una tutela seria a beni giuridici altrettanto seri, come l’ambiente e la salute pubblica; niente di più, niente di meno.
Anche in una materia tanto affascinante (anzitutto sensoriamente) quanto ormai nevralgica come il vino.
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