Brevi di (mancata) tutela del cibo – 1 – Sul Rapporto “Ecomafia” 2019


Dall’interno

All’ultima – in ordine di tempo – probabile frode in materia di alimentazione biologica, e alle sue implicazioni normative, si è dedicato lo scorso post. Si riprende la questione solo per sottolineare l’inquadramento statistico, per non dire “sistemico”, che questo fatto riceve dalla notizia che segue.

Qualche giorno fa, come di consueto in questo periodo, è stato presentato il rapporto “Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia”. Ebbene, stando alle rilevazioni di Legambiente, nel 2018, quelli ad essersi fatti particolarmente onore sono proprio i reati agroalimentari: “ben 44.795, quasi 123 al giorno, le infrazioni ai danni del Mady in Italy (contro le 37mila del 2017) e il fatturato illegale – solo considerando il valore dei prodotti sequestrati – tocca i 1,4 miliardi (con un aumento del 35,6% rispetto all’anno)”.

Nel post dedicato all’ultima truffa in materia di biologico, cui si faceva cenno sopra, si evidenziava, pur in maniera assai sintetica, l’inadeguatezza dell’attuale strumentario di tutela penale in questo campo, con particolare riferimento all’agricoltura e all’alimentazione biologica; e si rammentava che proprio per questa ragione il progetto di riforma dei reati agroalimentari prevederebbe una specifica tutela penale del biologico (oggi inesistente), a mezzo di un’apposita aggravante proprio al reato di frode in commercio.

Ma, come si diceva, il progetto elaborato in tal senso dalla Commissione Caselli, ormai quasi quattro anni fa, giace esanime in qualche cassetto parlamentare; a più di un anno dall’insediamento di questo esecutivo e della sua maggioranza parlamentare.

Il rapporto Ecomafia non costituisce, pertanto, che una conferma, l’ennesima, alla “peculiarità”, peraltro di limpida fattura italica (la vicenda della legge “ecoreati”, approvata solo nel 2015 dopo oltre vent’anni di “dibattito” e progetti vari di riforma, costituisce la naturale pietra di paragone, in tal senso), di una situazione nella quale, a fronte di un bene giuridico assolutamente primario (la sicurezza alimentare, e i suoi satelliti) ormai sotto attacco sistemico di ogni genia di criminalità, a partire da quella organizzata, le istituzioni preposte – per ragioni non necessariamente di alta politica – non riescono ad adeguare e rendere appena seriamente efficace e soprattutto deterrente l’apparato repressivo, pur in presenza di un progetto legislativo praticamente già definito in questo senso.

E la cosa risulta tanto più singolarmente gustosa quanto più si pensi che le inadempienti “istituzioni preposte” di cui sopra altro non sono che il legislatore: questo legislatore, per la precisione, governativo e parlamentare, che, in alcuni ambiti, ha fatto della “legalità” una sorta di feticcio sul cui altare sacrificare principi costituzionali, obblighi internazionali dello Stato, nonché, soprattutto, bisogni e diritti di persone deboli e spesso in pericolo.

Una specie di legalità a geografia limitata: le acque territoriali.

Giacché, invece, sulla terraferma il cosiddetto “belpaese”, in larghissimi suoi tratti ed espressioni, non pare secernere proprio distillati legalitari.

A partire dai settori della tutela dell’ambiente, dell’alimentazione e della salute, per l’appunto, come attesta il Rapporto Ecomafia.

Sono gli stessi estensori di quest’ultimo, quindi, ad affermare che, a mezzo di questo strumento, vogliono dare il loro “contributo, fondato come sempre sui numeri e una rigorosa analisi della realtà, per riequilibrare il dibattito politico nazionale troppo orientato sulla presunta emergenza migranti e far sì che in cima all’agenda politica del nostro Paese torni ad esserci anche il tema della lotta all’ecomafie e alle illegalità.”

Nello specifico della tutela penale del cibo, poi, nella parte dello studio relativa alle “Proposte”, Legambiente chiede proprio “che venga ripresa la proposta di disegno di legge del 2015 sulla tutela dei prodotti alimentari per introdurre una serie di nuovi reati che vanno dal ‘disastro sanitario’ all’ ‘omesso ritiro di sostanze alimentari pericolose’ dal mercato.”

Insomma, quello che servirebbe davvero alla causa della tutela dell’ambiente, dell’alimentazione e, quindi, della salute pubblica, in questo paese, sarebbe un cambio di priorità politiche e culturali.

Sì, ci vorrebbe proprio un Governo del cambiamento!

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