Cappelli – Miti, storia, istruttoria


Il Senatore Cappelli, il grano divenuto ‘culto’ nei consumatori sensibili all’antico contro il moderno, ha un’interessante quanto taciuta storia da raccontare. E’ di pochi giorni fa il via a procedere di un’istruttoria dell’Antitrust contro SIS Sementi spa, che troviamo al cuore di questa sua storia. Ma prima di tutto c’è da chiarire che il Senatore Cappelli, non è un grano ‘antico’. Per antichi si intendono i grani locali, precedenti al lavoro di selezione genetica che fece tra altri Nazareno Strampelli a partire dai primi del ‘900, entro una prospettiva di miglioramento agricolo ‘sistemico’, di interesse nazionale, per cui occorreva favorire la produttività e superare il ‘localismo’ delle specie ‘antiche’.

Fu selezionando caratteristiche entro la linea genealogica di un frumento duro tunisino, il Jenah Rhetifah, che Strampelli isolò questa varietà, incoronandola al nome del suo benefattore, Raffaele Cappelli, illustre personalità divenuta infine senatore, che ne aveva finanziato la ricerca e messo a disposizione una masseria a Foggia. Apprezzato per la rusticità e l’adattabilità, con ottima resa della semola, il Cappelli ebbe una rapida diffusione: in trent’anni arrivò a coprire più del 50% della superficie italiana coltivata a frumento duro.

A partire dal ’38 con l’istituzione del ‘Registro nazionale delle varietà elette di frumento’ – con ‘eletto’ sinonimo di ‘produttivo’ in superamento del ‘locale’ – fino ad oggi nel Registro Europeo, la varietà non uscirà mai dal catalogo delle sementi per la commercializzazione. Tale registrazione vale come patente di accesso al mercato, e viene conservata dal responsabile della sua riproduzione in purezza (qualsiasi varietà, lasciata alla sola produzione agricola, tende negli anni a ‘diluire’ la propria caratterizzazione genetiche, sia per ragioni ambientali che per le procedure produttive). Per il Cappelli è un’unita di ricerca ministeriale, poi divenuta l’attuale CREA-CER di Foggia.

Dopo la sua straordinaria diffusione il Cappelli vede un declino produttivo, soppiantato da varietà più efficienti. Riappare nel 2000 con il pastificio Latini e il marchio commerciale ‘Senatore Cappelli’ da esso registrato. Nel 2007, due accordi del CREA-CER con due ditte sementiere, la SELET e il Sementificio Scaraia, favoriscono la commercializzazione della semente e il nascere di diverse filiere in varie regioni Italiane. Il mondo del Bio nel frattempo ben recepisce questa varietà, per buona produzione e perché capace di soddisfare nuovi indirizzi di consumo. Un ruolo-chiave quello del sistema sementiero, che controlla la qualità e garantisce la circolazione del seme.

Il mercato cresce. Nel 2014, due anni prima della scadenza del contratto, il CREA comunica alle due ditte che non sarebbe avvenuto il rinnovo in automatico, ma si sarebbe istituito un bando pubblico per la nuova assegnazione previa proposta di un piano industriale all’altezza del nuovo mercato.

Nel 2016 sarà la Società Italiana Sementi (SIS), priva di rivali, ad aggiudicarsi la licenza esclusiva, e a sospingere il ‘Senatore Cappelli’ entro uno sviluppo agro-industriale ben preciso. La SIS è infatti una partecipata del Bonifiche Ferraresi Holding spa, gruppo finanziario e il più grande proprietario terriero italiano. Tra altri dettagli, il suo amministratore delegato è vicepresidente di Coldiretti.

Due anni dopo il gioco è fatto, il cerchio si chiude con gli accordi che blindano il Cappelli al patto di filiera SIS – Coldiretti – Consorzi Agrari. Condizionata a questo quadro, l’azienda agricola sottoscrive un contratto che prevede il conferimento dell’intero raccolto ad un prezzo prefissato, come materia prima per le successive fasi di filiera. Gli agricoltori sono così privati della possibilità di sviluppare e promuovere filiere fino al prodotto finito, e se niente vieta ad un agricoltore di riprodurlo in campo, chi confeziona prodotti con il Cappelli in etichetta senza dimostrare fattura di acquisto dalla SIS deve sapere come farlo. L’operazione nel suo complesso, da un lato giunge a soddisfare necessità intrinseche alla cerealicoltura, in termini di rafforzamento della gestione delle sementi e della valorizzazione nel mercato, dall’altra può costituire un esempio di monopolio commerciale che pone limiti indebiti nelle pratiche produttive reali, e che diffonde informazioni non veridiche nei consumatori a sostegno di moderni obiettivi commerciali privati, che con l’antico hanno poco a che fare. Seguiremo i lavori dell’istruttoria.

                                                                                                                                                        Valentina Dugo

+ There are no comments

Add yours