
Carne di selvaggina nelle sagre: vademecum
Quali obblighi incombono sull’operatore del settore alimentare in materia di igiene e consumo dei prodotti di orgine alimentare, nello specifico selvaggina, destinati al mercato?
E in quali circostanze particolari si è esenti da tali obblighi?
Una recente sentenza della Cassazione1, partendo dalla vicenda di alcuni cacciatori che avevano macellato un centinaio di cinghiali la cui carne era stata poi consumata ad una sagra di paese, offre degli interessanti spunti per una comparazione della normativa nazionale con quella comunitaria, cui la prima fa rinvio, in materia di igiene per la messa in commercio di prodotti di origine animale, dei limiti di applicabilità della medesima e del concetto di “autoconsumo” della carne di selvaggina
Indice
Carne di selvaggina nelle sagre: la vicenda
Carne di selvaggina nelle sagre: la normativa comunitaria e il concetto di “autoconsumo”
La decisione della Cassazione: cosa si intende per “autoconsumo” di carne nella caccia
Carne di selvaggina nelle sagre: la vicenda
Tre cacciatori, peraltro funzionari con cariche pubbliche a livello provinciale, venivano messi sotto processo penale perché, in concorso con altri soggetti rimasti non identificati, provvedevano alla attività di macellazione di 156 cinghiali selvatici, abbattuti da cacciatori partecipanti a piani di abbattimento della fauna selvatica, omettendo il previo transito della selvaggina nei centri di lavorazione e macellazione autorizzati (cosiddetti C.L.S.), ove le carcasse avrebbero dovuto essere sottoposte a visita ispettiva veterinaria secondo la normativa vigente a livello nazionale2.
Gli imputati venivano assolti dal Giudice di primo grado che riteneva insussistenete il reato loro contestato sulla base della motivazione secondo la quale, nel caso di specie, non fosse affatto necessario che le carni, prima di essere immesse sul mercato e distribuite, venissero sottoposte ad un trattamento presso i predetti stabilimenti poiché destinate all’autoconsumo e in piccole quantità.
Tale decisione veniva impugnata dal Procuratore Generale (in pratica, l’accusa) che ricorreva in Cassazione sostenendo, invece, che nella fattispecie in questione non potesse parlarsi di autoconsumo della carne dato l’ingente quantitativo di cinghiali macellati (ben 156) e le circostanze in cui essi erano stati consumati, e cioè durante una sagra di paese.3
Carne di selvaggina nelle sagre: la normativa comunitaria e il concetto di “autoconsumo”
La norma incriminatrice contestata agli imputati richiama la disciplina contenuta nel regolamento comunitario4 recante norme in materia di igiene per gli alimenti di origine animale il quale stabilisce5 che le carni di selvaggina, quali prodotti di origine animale, possono essere immessi nel mercato solo se preparati e manipolati nei centri di lavorazione della selvaggina, c.d. C.L.S., autorizzati dalle Aziende sanitarie locali (Asl).
Tuttavia, il medesimo regolamento prevede6 un elenco di condotte esenti, sottratte all’applicazione della disciplina in esso contenuta e quindi escluse dall’obbligo di macellazione delle carni negli appositi C.L.S., poiché rientranti nel concetto di “autoconsumo” di piccoli quantitativi di carne.
Si tratta delle seguenti ipotesi :
a) produzione primaria per uso domestico privato;
b) preparazione, manipolazione e conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato;
c) fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o della somministrazione a livello locale che riforniscono direttamente il consumatore finale;
d) fornitura diretta di piccoli quantitativi di carni provenienti da pollame e lagomorfi macellati nell’azienda agricola dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che forniscono direttamente al consumatore finale siffatte carni come carni fresche;
e) la condotta dei cacciatori che forniscono piccoli quantitativi di selvaggina selvatica o di carne di selvaggina selvatica direttamente al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono il consumatore finale.
La decisione della Cassazione : cosa si intende per “autoconsumo” di carne nella caccia
Gli “ermellini” nella sentenza in commento hanno dato ragione all’accusa ritenendo che il giudice di primo grado avesse errato nell’assolvere i tre cacciatori poiché la liceità dell’ attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti sussiste solo quando si tratti di piccoli quantitativi di selvaggina, ceduti per il consumo in maniera del tutto occasionale.
In particolare, per “piccoli quantitativi” di selvaggina di grossa taglia, come lo sono i cinghiali, deve intendersi non più di un capo all’anno per singolo cacciatore7.
Invece, nel caso di specie, trattandosi di un centinaio di capi di grossa taglia abbattuti nell’ambito di piani di diradamento della fauna selvatica, non può di certo parlarsi di “piccoli quantitativi” né di cessioni del tutto occasionali e, perciò, deve necessariamente trovare appilcazione la normativa comunitaria che impone il trasferimento della carne in centri di lavorazione autorizzati.
Peraltro, anche la circostanza che il consumo della carne fosse avvenuto durante eventi conviviali come una sagra di paese non è in linea con il principio di uso domestico e privato o autoconsumo previsto dai regolamenti comunitari.
Ne consegue che la condotta posta in essere dai tre cacciatori non può rientrare nel concetto di “autoconsumo” della selvaggina e, perciò, non è oggetto di esenzione dall’obbligo imposto dalla normativa comunitaria.
La decisione del giudice di primo grado, dunque, è frutto di una evidente forzatura nell’interpretazione della normativa comunitaria che, benchè favorevole per i cacciatori, non rispetta la ratio dell’esenzione dall’obbligo imposto ed è, perciò, censurabile.
Avv. Anna Ancona
Per consulenze e assistenza legale in materia di sicurezza alimentare, contattaci: info@cibodiritto.com
Cass. Penale, Sez. 3 Num. 30428 del 02/08/2022
In particolare, si fa riferimento all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 193 del 06/11/2007 che prevede che: “Chiunque, nei limiti di applicabilita’ del regolamento (CE) n. 853/2004, effettua attivita’ di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti ai sensi del citato regolamento ovvero la effettua quando il riconoscimento e’ sospeso o revocato e’ punito con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda fino a euro 150.000, in relazione alla gravita’ dell’attivita’ posta in essere”.
Di tutela penale in materia di consumo di carni animali, ci siamo occupati più volte in questo blog, per esempio qui: https://cibodiritto.com/alimenti-in-stato-di-alterazione-bisogna-accertare-lorigine-della-contaminazione/
Regolamento CE n. 853 del 2004 che stabilisce norme generali in materia di igiene dei prodotti alimentari destinate agli operatori del settore alimentare.
Art. 4 del Regolamento Ce n. 853 del 2004
Art. 1, comma 3, del Regolamento Ce n. 853 del 2004
Secondo quanto previsto anche dalle linee guida applicative del regolamento CE 853/2004 e dall’Accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Per un approfondimento circa tali linee guida si veda: https://www.anmvioggi.it/rubriche/sicurezza-alimentare/70898-igiene-delle-carni-di-selvaggina-ecco-la-linea-guida.html
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