Carne in cattivo stato di conservazione: è reato, anche se il locale è chiuso per Covid


La Cassazione conferma il sequestro del ristorante: non è necessaria la prova della messa in vendita dell’alimento, basta che questo sia a disposizione dell’Osa

Durante un controllo in un locale chiuso per Covid era rinvenuta carne in cattivo stato di conservazione. Scattava, quindi, il procedimento per il noto reato.

Indice

  1. Il fatto: la carne, le muffe, l’alterazione organolettica

  2. La denuncia e il sequestro

  3. Il diritto: la pronuncia della Cassazione

1) Il fatto: la carne, le muffe, l’alterazione organolettica

Più precisamente, venivano trovati all’interno di una cella frigorifera, 800 (ottocento) kg di carne “destinata alla vendita che presentava muffe bianche, verdi e chiazze nere, oltre ad essere, al tatto, viscida e umida, caratteristiche queste ultime sintomatiche anche di un’alterazione organolettica del prodotto alimentare, per un peso complessivo di 800 kg“.

Gli agenti di P.G. accertavano anche l’assenza di strumentazione idonea alla conservazione dell’alimento e il mancato rispetto della procedura di mantenimento della carne destinata alla frollatura.

2) La denuncia e il sequestro

Scattava quindi il sequestro dell’intero locale e la denuncia per – tra gli altri – il reato di detenzione di alimenti destinati alla vendita in cattivo stato di conservazione, ex art. 5, lett. b), l. 283\1962.

Il sequestro veniva convalidato dal Gip e confermato dal Tribunale del riesame.

Il commerciante ricorre, dunque, per cassazione sulla base soprattutto di un motivo di ricorso: siccome il locale era chiuso per Covid, la carne non poteva esser ritenuta posta in vendita, o quantomeno sarebbe stata carente la prova in questo senso.

3) Il diritto: la pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione rigetta radicalmente l’argomentazione difensiva riprendendo un suo orientamento consolidato sul punto: “per la configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5 non è necessaria la prova della messa in vendita”. Di conseguenza, “integra il reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione la condotta consistente nella materiale disponibilità di quel prodotto da parte dell’operatore commerciale, sia esso grossista o dettagliante, in vista della fornitura ai consumatori.” (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-11-2020) 09-03-2021, n. 9349)

Peraltro, i Supremi Giudici non risparmiano un paio di chiose che paiono illuminanti su quanto fosse sostenibile l’affermazione difensiva di cui si è detto: “la libera disponibilità della sede (del ristorante) comportava un estremo pericolo per la salute pubblica, in relazione alla quantità (8 quintali) della merce sequestrata, in cattivo stato di conservazione.” E “i controlli della P.G. intervenivano proprio allo scopo della verifica della conservazione degli alimenti nel periodo di chiusura Covid, in attesa delle riaperture.

Insomma, basta che un alimento sia nel possesso di un Osa (operatore del settore alimentare) perché, in assenza di serie alternative, sia logicamente ritenuto destinato alla vendita ai consumatori. In quanto tale, se viene rinvenuto in cattivo stato di conservazione o in qualsiasi delle altre condizioni patologiche previste dall’art. 5, scatta la relativa fattispecie di reato prevista da quella norma.

Viene, pertanto, nuovamente confermato che quella garantita dalla legge 283 del 1962, per come applicata dalla Suprema Corte, è una tutela penale dell’ordine alimentare e, quindi, della salute pubblica estremamente anticipata ed efficace.

Quando mai qualcuno dovesse ancora nutrire qualche dubbio sul tipo di effetti che avrebbe avuto su quei due fondamentali beni giuridici l’abrogazione di quella legge, se quest’ultima non fosse stata a sua volta, provvidenzialmente, resuscitata per decreto in zona cesarini.

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