Cattiva conservazione alimenti: è reato anche nel trasporto


La Cassazione torna a pronunciarsi sul reato di detenzione di alimenti destinati alla vendita, rinvenuti in cattivo stato di conservazione, confermando il proprio orientamento ormai ben consolidato.

E ciò nonostante le particolari modalità in cui, nel caso di specie, era stato trovato il cibo (della carne) che non era custodito né in un negozio né in un ristorante.

Si può comunque ritenere che lo stesso fosse destinato alla vendita ai consumatori?

Indice

Cattiva conservazione alimenti: la detenzione di carne in un furgone non refrigerato

La difesa: l’assenza di prove della destinazione alla vendita della carne

:Cattiva conservazione alimenti: l’ingente quantitativo di carne

:Cattiva conservazione alimenti: la posizione della giurisprudenza

 

I fatti: la detenzione di carne in un furgone non refigerato.

Durante un’attività di controllo stradale di routine svolto su una strada provinciale, due uomini erano stati fermati a bordo di un furgone privo di cella frigorifera mentre trasportavano ben 125 kg di carne di pollo e di tacchino per kebab in comuni cartoni, senza alcun tipo di refrigerazione e, dunque, con interruzione della catena del freddo.

La merce era stata sequestrata e gli uomini erano finiti sotto processo, accusati di detenzione finalizzata alla vendita1 della carne rinvenuta nel furgone in cattivo stato di conservazione2 e, a seguito del processo di primo grado, condannati per il medesimo reato contravvenzionale al pagamento di una ammenda.

La difesa: l’assenza di prove della destinanzione alla vendita della carne

La difesa degli imputati era, perciò, ricorsa in Cassazione avverso la predetta sentenza di condanna sostenendo, anzitutto, che il sequestro della carne fosse avvenuto in circostanze del tutto particolari e anomale.

La merce, infatti, era stata rinvenuta a bordo di un furgone, peraltro non di proprietà degli imputati, all’esito di un normale servizio di controllo stradale e non presso un’attività di rivendita commerciale e/o di somministrazione di alimenti al pubblico, un deposito o, quantomeno, un magazzino di altrettante presunte attività commerciali, come solitamente avviene in casi simili.

Dunque, proprio in considerazione delle particolari modalità del controllo non vi era alcuna prova certa né di quale attività lavorativa svolgessero gli imputati e se fossero operatori del settore alimentare né che la carne rivenuta e dagli stessi detenuta all’interno del furgone non refrigerato fosse effettivamente destinata alla vendita al pubblico.

Peraltro, sempre secondo la difesa, ben si sarebbe potuta evitare la condanna degli uomini e ritenere che gli stessi non fossero punibili vista la particolare tenuità dei fatti3 che, invece, era stata esclusa dal giudice di primo grado.

La decisione della Suprema Corte: l’ingente quantitativo di carne

Ebbene, con la sentenza in commento4 gli “ermellini” hanno confermato la condanna degli imputati per il reato loro contestato di detenzione destinata alla vendita di carne in cattivo stato di conservazione, ritenendo che l’ingente quantitiativo di carne sequestrata (ben 125 chili) costituisse prova inconfutabile, che non lasciava margini di dubbio sulla destinazione alla vendita della medesima.

D’altra parte, gli imputati al momento del controllo stradale non avevano neppure offerto alcuna giustificazione alternativa e plausibile agli operanti nè avevano esibito alcuna documentazione attestante una diversa destinazione della merce.

Quanto, infine, alla possibile qualificazione dei fatti come di particolare tenuità e alla conseguente non punibilità degli imputati, anche su questa questione la Cassazione ha rintenuto di fondamentale importanza il dato quantitativo della carne sequestrata: essendo la quantità di merce rilevante, i fatti non possono ritenersi di lieve entità e, dunque, non punibili.

Conclusioni: la posizione della giurisprudenza in materia di cibi in cattivo stato di conservazione

Con la decisione appena richiamata la Suprema Corte ha, dunque, confermato il proprio orientamento ormai consolidato in materia, ribadito in numerose altre sentenze già oggetto di commento su questo blog5 secondo il quale “il reato che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione persegue un autonomo fine di benessere consistente nell’assicurare una protezione immediata del consumatore affinchè il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura (cosiddetto ordine alimentare)”.

Il bene tutelato dalla norma è evidetemente la salute del consumatore sul quale la Suprema Corte ha dimostrato ancora in un’occasione, una delle ultime in senso temporale, di non voler “scendere a compromessi”, specie ove il soggetto che detiene gli alimenti, come nel caso appena esposto, non fornisca una valida prova della destinazione alternativa degli stessi.

Il senso è quello di fornire una tutela adeguata ed immediata al benessere pubblico, in ogni fase della catena di distribuzione degli alimenti, trasporto compreso, e a prescindere da “escamotage” difensivi sul luogo e/o le modalità di detenzione del cibo, non esattamente pregnanti in punto di diritto o, quantomeno, non ritenuti tali dai giudici di legittimità.

4\7\2022

Avv. Anna Ancona

Per consulenze e assistenza legale in materia di sicurezza alimentare, contattataci: info@cibodiritto.com

 

1

 Il reato in questione è previsto dall’art. 5 della Legge del 30 aprile 1962, n. 283, che reca la “ “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”. Tale norma è stata già oggetto di numerosi altri commenti su questo blog, tra i più recenti: https://cibodiritto.com/alimento-nocivo-servito-alla-mensa-scolastica-chi-ne-risponde/

2

  Per una definizione giurisprudenziale di cattivo stato di conservazione si veda la sentenza della CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 28/08/2018, Sentenza n.39037 secondo la quale Il cattivo stato di conservazione degli alimenti si verifica in quelle situazioni in cui le sostanze, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentino mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto (Cass. Sez. 3, n. 33313 del 28.11.2012, Maretto). Tale stato può essere accertato senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, ma sulla base di dati obiettivi, come ad esempio il verbale ispettivo, la documentazione fotografica, o mediante la prova testimoniale; ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione”.

Le massime estratte dalla citata sentenza sono consultabili su https://www.ambientediritto.it/giurisprudenza/corte-di-cassazione-penale-sez-3-28-08-2018-sentenza-n-39037/#:~:text=Il%20cattivo%20stato%20di%20conservazione,pericolo%20di%20una%20loro%20precoce

3

 L’esclusione della punibilità per particolare tenunità del fatto è disciplinata dall’art. 131 bis c.p.p.

4

 Cass. Sez. III P e n., 4 ottobre 2021 , n. 35966

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