Cattivo stato di conservazione alimenti: il sequestro del ristorante
Detenzione per la vendita di alimenti mal conservati da parte di un ristoratore: per sequestrare l’esercizio commerciale, il giudice deve fornire una motivazione adeguata.
I Nuclei antisofisticazioni dei carabinieri (Nas) effettuano un controllo in un ristorante. Vi rinvengono alimenti destinati alla somministrazione ai clienti in cattivo stato di conservazione. In particolare, riscontrano che l’esercizio è privo dell’abbattitore di temperatura, dispositivo necessario per il raffreddamento rapido dei cibi freschi, ed ha solo due celle frigorifere. In una di esse, si scoprono cibi originariamente freschi, ma mal congelati, tanto da esser quasi totalmente coperti di brina. I cibi in questione, inoltre, sono privi di etichetta e delle indicazioni necessarie per la cosiddetta tracciabilità; alcuni sono anche scaduti. Qual è l’esito del controllo in caso di cattivo stato di conservazione degli alimenti? Il sequestro di tutto il ristorante.
Indice
Sequestro dell’attività commerciale
L’unica difesa del ristoratore è quella per cui egli aveva rifornito il ristorante di merci in previsione del futuro acquisto dello stesso abbattitore.
Il giudice delle indagini preliminari dispone il sequestro preventivo non solo degli alimenti ma del ristorante e delle relative licenze, contestando il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione, previsto da una legge del 1962 [1] che, a distanza di quasi sessant’anni, resta ancora oggi un testo legislativo centrale in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari.
Il tribunale del riesame conferma il sequestro.
La risposta della Cassazione: come deve essere la decisione
La questione arriva in Cassazione [2] e questa rovescia sostanzialmente i provvedimenti emessi dai giudici di merito, annullando la misura cautelare limitatamente ai locali e alle autorizzazioni amministrative.
La motivazione: il tribunale del riesame non ha spiegato per quale ragione fosse necessario il sequestro preventivo, non solo della merce in cattivo stato di conservazione, ma anche dei locali e delle licenze commerciali.
Secondo la Corte, un sequestro così ampio costituirebbe di fatto una misura “interdittiva” – che impedisce, cioè, alcune (o tutte, come nel caso di specie) attività dell’azienda – finendo in tal modo per anticipare indebitamente la sanzione prevista dalla stessa norma del 1962 cui si accennava.
Quindi, a parere della Corte di legittimità, è imprescindibile una motivazione adeguata di una misura cautelare così incisiva sul patrimonio e sull’attività economica di un soggetto, anche in presenza di un reato di pericolo (che si consuma, cioè, in maniera assai anticipata) come quello in questione.
Interessi in conflitto: bilanciamento
Insomma, quando ci sono di mezzo beni e principi giuridici così importanti e provvedimenti tanto impattanti sul lavoro di una o più persone (perché, in fondo, di questo si tratta), in un provvedimento giudiziario non è possibile dare per scontato niente, il giudice deve spiegare come ha effettuato l’attività logico – giuridica che, in una società complessa come la nostra, deve essere posta a base di qualsiasi decisione in questioni altrettanto complesse: l’attività di bilanciamento tra valori e interessi contrapposti, ma tutti meritevoli di tutela.
Come quando ci sono di mezzo il diritto alla salute – nonché, nel caso di specie, dell’ordine alimentare, categoria particolarmente cara alla stessa Corte di Cassazione – e quello alla libertà di iniziativa economica privata.
Quello della Suprema Corte, in ultima istanza, è un indispensabile promemoria per tutti gli addetti ai lavori: quelli della giustizia e quelli della produzione.
Pubblicato su La legge per tutti
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