Chi ha paura dell’Antitrust? Origine del grano ed etichette della pasta
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha recentemente concluso dei procedimenti istruttori che coinvolgono noti marchi di pasta, fra cui Divella, Cav. Giuseppe Cocco e De Cecco. Le motivazioni che hanno portato all’azione dell’Antitrust riguardano, citando il Comunicato stampa, sono costituite dalle “informazioni fuorvianti circa l’origine del grano duro utilizzato nella produzione di pasta di semola di grano duro”.
L’imminente entrata in vigore del Reg. 2018/775 sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento[1], insieme al rispetto del principio di trasparenza nei confronti del consumatore, hanno indotto l’Antitrust ad intraprendere questa “guerra del grano” nei confronti di alcuni noti operatori del settore.
Esaminiamo più da vicino la normativa di riferimento.
Il Reg. n. 1169/2011 sull’informazione alimentare, all’art. 26, dispone l’obbligatorietà dell’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza “nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o luogo di provenienza reali dell’alimento finale in questione, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza..” [2]. Tale articolo mira a prevenire la fornitura di informazioni ingannevoli sugli alimenti che facciano pensare che l’alimento abbia una determinata origine, mentre la sua origine reale è di fatto differente.
Il Reg. 2018/775 dà esecuzione a questo articolo, specificando che se l’origine del prodotto è richiamata più volte sulla confezione del prodotto, anche attraverso simboli o immagini, anche l’origine dell’ingrediente primario va ribadita ogni volta nello stesso campo visivo.
L’AGCM, nelle sue argomentazioni, evidenzia che lo scopo del suo intervento istruttorio è quello di evitare che gli enfatici elementi evocativi dell’italianità del prodotto possano generare nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera produttiva della pasta, a partire dalla materia prima, sia italiana, mentre tale qualificazione concerne la sola localizzazione dei processi di trasformazione e delle competenze produttive. Dal momento che le confezioni sono caratterizzate, sulla parte frontale, da vanti relativi alla italianità del prodotto, mentre l’indicazione della materia prima, proveniente anche da Paesi europei ed extra-europei, risulta generalmente collocata sul retro della confezione del prodotto, il consumatore potrebbe essere tratto in inganno.
I titolari dei marchi di pasta in questione, dal canto loro, hanno presentato all’AGCM una dichiarazione di impegni, esponente la volontà di “correggere” le informazioni contenute nelle etichette, nei siti web e nelle pubblicità. Tutte le dichiarazioni, è da notare, sono attraversate da una certa ambiguità: da un lato, si difende il proprio operato asserendo con convinzione di aver sempre agito in buona fede e nel rispetto delle normative nazionali ed europee; dall’altro, ci si piega alle motivazioni dell’Antitrust impegnandosi (anche più del dovuto) a modificare la propria condotta.
Il punto cruciale, però, è che gli impegni degli operatori si concretizzano in modifiche non poco significative che potrebbero avere serie conseguenze sull’immagine del prodotto.
Ne è l’esempio lampante De Cecco, che nella sua dichiarazione si impegna ad eliminare dal front delle confezioni l’immagine della bandierina tricolore, nonché le diciture “metodo De Cecco”, “ricetta da oltre 130 anni” e “Made in Italy”. Unitamente a ciò, De Cecco inserirà sul fronte della confezione la dicitura “I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona”.
Analogamente, il Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco eliminerà la dicitura “… a Fara San Martino fare la pasta è un’antica tradizione” (come se non fosse vero!).
Che sia giusto tutelare il consumatore, fornendogli informazioni le più accurate possibili circa l’origine dei prodotti che intende acquistare, è indiscutibile. Lo è meno, però, farlo a scapito di un prodotto alimentare. Integrare, specificare o evidenziare meglio l’origine del grano, senza rischiare di intaccare la tradizione e la storia di un alimento così tipicamente nostrano, era proprio impossibile? Anche in questo caso, la vecchia regola della sana via di mezzo sarebbe sembrata più che azzeccata.
Martina Novelli
[1] Si tratta di un regolamento recante le modalità di applicazione dell’art. 26, par. 3, del reg. (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. L’entrata in vigore è prevista per il 1° aprile 2020.
[2] Reg. 2018/775, considerando 2.
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