Colline del Prosecco: questo patrimonio non s’ha da fare.


Le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene ci riprovano, e sono nuovamente candidate a entrare nella lista dei Siti Patrimonio dellʼUmanità.

Questo accade dopo che la scorsa estate la prima richiesta era stata “rimandata di un anno” da parte dell’apposito Comitato dell’Unesco, che aveva invitato l’Italia a presentare l’anno successivo il dossier con le correzioni richieste per l’iscrizione.

Il nuovo verdetto è atteso per il prossimo luglio.

Intorno a questa candidatura, però, non c’è precisamente un’unanimità di consensi.

Una necessaria precisazione preliminare: esistono due “Prosecco”, quello Docg o superiore (di Conegliano – Valdobbiadene; oltre a quello di Asolo – Montello) e quello Doc.

La questione di cui ci si occupa in questo post riguarda fondamentalmente il primo[1] ed è emblematica di una linea di tendenza sempre più diffusa nelle zone più vocate alla viticultura di gran pregio, e quindi di pari profitto.

Il vino è ormai un elemento centrale dell’ambiente in cui nasce, specie nelle aree cui si accennava nel capoverso precedente.

In quanto tale, può contribuire alla qualità di quei territori in maniera forte, molto forte, in un senso o nell’altro: sotto il profilo dell’impatto sul paesaggio come su quello dello stato delle matrici ambientali, quindi della complessiva salubrità dell’area in questione.

Ma c’è di più: la produzione di vino può avere una rilevante incidenza anche sulla coesione sociale di quelle regioni.

Del tutto fondate scientificamente o meno, condivisibili o no, le inquietudini di pezzi numericamente rilevanti di popolazioni sui costi ambientali e sanitari della coltivazione della vite costituiscono, comunque, fenomeni di allarme sociale con cui bisogna fare i conti.

Timori cui occorre dare risposte politico – istituzionali di senso compiuto.

Sia perché, altrimenti, quelle mancate risposte provocano mobilitazione dei settori più avanzati della cittadinanza attiva, anche utilizzando gli strumenti istituzionali della partecipazione popolare.

Sia perché quelle inquietudini, almeno in alcuni casi, non sembrano proprio espressioni di isteria collettiva sotto il profilo della loro verosimiglianza, se non anche certa evidenza, scientifica.

Per tornare al Prosecco Docg, in un contesto ambientale e sociale come quello che è stato oggettivamente prodotto dal primo ambasciatore del made in Italy vitivinicolo, anche la stessa candidatura a patrimonio Unesco delle colline venete patria delle più note bollicine italiche diventa un elemento divisivo nel corpo sociale di quella terra, come emerge in maniera inconfutabile proprio in questi giorni.

Chi scrive non ha idea di quanto sia effettivamente realizzabile un’idea come quella di un biodistretto anche in quelle terre.

Ma, forse, dato lo stato dell’arte ambientale e sociale, varrebbe la pena provarci sul serio.

E a quanto pare questa sembra essere, ormai, una valutazione delle istituzioni locali, non solo di una ristretta cerchia di eco-utopisti .

Il biodistretto non sarebbe certo la panacea per mali profondi inferti negli ultimi anni a un ecosistema e a pezzi non residuali degli umani che lo abitano; ma servirebbe quantomeno per provare a non infierirvi ulteriormente, con la medesima virulenza.

Tutto questo riguarda la zona del Prosecco superiore Docg.

Poi c’è la sterminata distesa della zona del Prosecco Doc, con una denominazione che abbraccia praticamente due regioni, sfruttando il nome di una frazione di Trieste.

E qui – a parte ogni considerazione sulla “creatività” dell’operazione politico – commerciale che ha portato dieci anni fa alla nascita della Doc Prosecco e del relativo disciplinare, con la conseguente perimetrazione della debordante zona di produzione, e sulla effettiva conformità della medesima operazione al concetto stesso di denominazione di origine – di biodistretto non se ne parla proprio.

Verrebbe da pensare che, più che inseguire improbabili “patrimoni dell’umanità”, per certi territori sarebbe già notevole risultato riuscire a preservare qualcosa del loro patrimonio paesaggistico e ambientale, quindi di salute pubblica.

[1] Ai profili ambientali del Prosecco Docg chi scrive ha già dedicato, in altra sede, qualche riflessione di recente.

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