Coloranti, pane, sostitutivi del pane: la Cassazione fa chiarezza


Il cosiddetto “black burger” al carbone vegetale è da considerarsi pane a tutti gli effetti, anche se tale dicitura non è riportata sulla confezione, oppure rientra nella categoria dei “sostitutivi del pane” (come, ad esempio, i grissini, i crackers, le gallette) per i quali, a differenza del pane, l’impiego di tale additivo chimico colorante è consentito dalla normativa comunitaria?

E’ su tale questione che si è pronunciata la Cassazione penale, sezione III, con una sentenza dello scorso giugno, la n. 27282, emessa nell’ambito di un procedimento che vedeva imputato del reato di cui all’art. 5, comma 1, lett. g), L. 30 aprile 1962, n. 283, il legale rappresentate di una catena di supermercati che aveva messo in vendita in alcuni dei suoi esercizi commerciali dei prodotti da forno denominati “black burger al sesamo”, contenenti l’aggiunta di additivo chimico colorante denominato E153, comunemente conosciuto come carbone vegetale.

L’imputato, condannato in primo grado, proponeva ricorso in Cassazione sostenendo, innanzitutto,  che la veste di legale rappresentante di una società con undici diversi punti vendita, non potesse comportare, per ciò stesso, l’obbligo di verificare la conformità a legge dei prodotti venduti in tutti i supermercati.

In secondo luogo, quanto alla pretesa violazione della art. 5, lett. g) della predetta legge, la difesa del ricorrente riteneva che il carbone fosse da considerarsi un additivo non chimico, per cui non rientrante nell’ambito regolato dalla richiamata norma.

In ogni caso, sempre secondo la tesi difensiva, in relazione a quanto previsto dal regolamento CE n. 1333 del 2008, tra i prodotti da forno fini, per i quali è consentito l’utilizzo dell’additivo, devono comprendersi anche i bread substitutes, tra i quali appunto il Black burger al sesamo, oggetto della contestazione, che non era definito come “pane” neppure sulla confezione del prodotto medesimo.

Ebbene i giudici di legittimità con la sentenza in commento hanno confermato la condanna dell’uomo ritenendo che la  responsabilità in ordine alla scelta dei prodotti da acquistare e quindi porre in vendita nella catena di esercizi sia sicuramente riconducibile al vertice della compagine societaria, a meno che tale compito non sia espressamente delegato a dei preposti, circostanza che, nel caso di specie, non era stata in alcun modo provata dall’imputato.

Inoltre, quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha osservato come i prodotti posti in vendita, seppur denominati “burger” o genericamente “prodotti da forno”, avessero la forma e gli stessi ingredienti del pane, presentandosi come pane nero, ovvero come pane contenente carbone.

Nè può sostenersi che un prodotto da forno, identico al pane per forma e sostanza ma definito bakery o “burger”, possa essere venduto non come tale solamente perché  non definito pane.

Ciò, infatti, comporterebbe un aggiramento, neppure troppo ben celato, del divieto in specie sussistente.

Altrimenti detto, quindi, se l’impiego del carbone vegetale non è ancora previsto per gli alimenti venduti con la denominazione “pane” bensì, come risulta dal regolamento comunitario n. 1333/08, per i “sostitutivi del pane”, quali ad esempio grissini, cracker, gallette, pizze e schiacciate, taralli, ecc., ciò non può significare che si possa procedere alla vendita solamente quando non vi è la dicitura “pane”, ma di tale alimento sussistano forma e sostanza (che invece i prodotti “sostitutivi del pane”, appena ricordati, certamente non hanno).

In pratica: il nome non cambia il contenuto!

O, a volerla dire con un proverbio culinario, “se non è zuppa, è pan bagnato”!

Anna Ancona

 

 

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