Commercio di sostanze alimentari nocive: non basta che l’alimento sia scaduto


La Cassazione conferma che per la realizzazione del reato occorre la prova della concreta pericolosità dell’alimento.

 

La vicenda

A un bambino viene somministrato dai genitori latte in polvere la cui data di preferibile consumazione era scaduta.

Avverte disturbi: dolori addominali e febbre, per i quali si rende necessario anche un ricorso al Pronto Soccorso.

I genitori denunciano la titolare della farmacia da cui il prodotto era stato acquistato.

La farmacista viene processata per i reati di commercio di sostanze alimentari nocive e lesioni, entrambi nella forma colposa.

E’ condannata in primo grado, ma assolta dalla Corte d’appello e poi, in via definitiva, dalla Cassazione.

La sentenza

Fondamentali sono i principi di diritto che elabora sul punto proprio la Suprema Corte, in una sentenza emessa pochi mesi fa (Cass. pen. Sez. IV, Sent.,  – ud. 21-03-2018 – 11-04-2018, n. 16108), anche perché sono quelli che governano ogni procedimento penale in cui si discuta di danni alla salute derivanti dall’esposizione a una o più sostanze esterne: ambientali, lavorative o, appunto, alimentari.

I giudici del Palazzaccio, infatti, nel confermare la sentenza di assoluzione dell’imputata, hanno anzitutto ribadito che ai fini della realizzazione di queste figure di reato non è sufficiente che l’alimento in questione sia scaduto o, ancor meno, sia scaduta la sua data di preferibile consumazione.

Afferma, difatti, la Corte che: 1) la commercializzazione di alimenti “scaduti” (nel duplice senso sopra indicato) di per sé non è reato, ma solo illecito amministrativo; 2) “il reato di commercio di sostanze alimentari nocive è reato di pericolo per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute”; quindi, occorrono specifici accertamenti per provare questa capacità dei prodotti in esame. Elementi di prova che nel caso di specie, a quanto si legge nella sentenza, mancavano.

L’accertamento della “causa”

L’altra parte della pronuncia dei “Supremi Giudici” estremamente rilevante è quella relativa alle regole di accertamento processuale del cosiddetto “nesso causale” in questo tipo di procedimenti penali.

Per “nesso causale” si intende il rapporto che lega un determinato elemento (in un processo penale si tratta di un comportamento umano, “la condotta”) ad un altro (“l’evento), facendo sì che il primo sia considerabile come la causa del secondo.

Ebbene, la Cassazione conferma, come si diceva, i principi consolidati in questa materia, affermando che nel caso sottoposto alla sua attenzione non si era raggiunta la certezza che i disturbi del bambino siciliano fossero effettivamente ascrivibili proprio al latte in polvere scaduto; e questo anche in funzione della natura “aspecifica” di alcuni dei sintomi dai quali era stato affetto il bimbo.

Oltre ogni ragionevole dubbio

La conclusione cui giungono i giudici del Palazzaccio sulla base del duplice ordine di principi sanciti non potrebbe essere diversa: non si è raggiunta la prova che la causa della malattia del bambino fosse realmente il latte in polvere scaduto, dunque non si è raggiunta la prova della responsabilità dell’imputata “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Questa, pertanto, deve essere assolta.

24\6\2018

Avv. Stefano Palmisano

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