Consumo di datteri di mare: è responsabile tutta la filiera
La Cassazione afferma che il prelievo di questi molluschi comporta vari reati a carico di tutti i soggetti coinvolti. Al consumatore tocca la ricettazione.
Indice
1) La sentenza
2) La distruzione dell’ecosistema marino
3) Le responsabilità dei consumatori
1) La sentenza
Il consumatore non è innocente. O almeno non sempre. Di sicuro, non quando con il suo comportamento, di consumatore, concorre alla devastazione di un ecosistema. Come accade con il consumo di datteri di mare, per cui, quindi, è responsabile tutta la filiera.
E’ questa la morale principale di una recentissima sentenza della Corte di Cassazione in un procedimento per una serie di reati, tra cui l’inquinamento e il disastro ambientali, che peraltro vede imputato un mediatore.
Per liquidare le varie eccezioni difensive, la Suprema Corte ha affermato che “il prelievo dei ‘datteri di mare’ integra in ogni caso il delitto di danneggiamento.”
In proposito, ha ricordato il Collegio, la giurisprudenza aveva già affermato che costituisce il delitto di ricettazione la condotta dell’acquirente di pesce proveniente dalla cattura mediante uso di materie esplodenti o da danneggiamento delle risorse marine (reato previsto dal codice penale) qualora costui acquisti consapevolmente il pescato proveniente dai predetti delitti. Questa decisione, in particolare, aveva precisato che il fondale marino è bene destinato a pubblica utilità, che altre pronunce di legittimità avevano ritenuto configurabile il delitto di danneggiamento aggravato nel comportamento di colui il quale frantumi gli scogli sotterranei per pescare le specie ittiche che vivono al loro interno, tra cui proprio i cosiddetti “datteri di mare”, e che, quindi, la messa in commercio di pescato proveniente da pesca di frodo può concorrere con il delitto di ricettazione allorché la cattura sia stata effettuata mediante l’utilizzo di esplosivo ovvero mediante danneggiamento di risorse marine, a condizione che l’acquirente sia consapevole della delittuosa provenienza della merce.
2) La distruzione dell’ecosistema marino
Un comportamento come quello contestato all’imputato di questo processo è particolarmente grave – e quindi va punito in modo adeguato – perché, come ricordano i Giudici del Palazzaccio, i mitili in questione possono essere prelevati solo previa distruzione delle rocce in cui gli stessi si annidano. Precisamente, come sancito nella consulenza tecnica espletata su incarico del Pubblico Ministero, il “dattero di mare” non vive sulle rocce ma al loro interno, e precisamente nei cunicoli e nelle gallerie scavati nelle rocce calcaree mediante secrezioni acide prodotte da alcune sue ghiandole; di conseguenza, per prelevare questi molluschi dal loro habitat bisogna frantumare la roccia in cui vivono, distruggendo con essa tutta la comunità biologica che la ricopre o che vive al suo interno.
Queste ragioni sono alla base del divieto assoluto di pesca, stabilito sia da fonti internazionali – come la Convenzione di Berna del 1982, la Convenzione CITES del 1983, la Direttiva c.d. Habitat 92/43/EEC … – sia da leggi italiane (in particolare, l’art. 7 D.Lgs. n. 4 del 2012…).
3) Le responsabilità del consumatore
Dopo le sentenze sulla pesca abusiva del corallo rosso e delle oloturie qualificate come inquinamento ambientale e dopo quella sulla pesca di frodo con esplosivi trattata come disastro ambientale (tutte pronunce che sono state analizzate su questo blog), la Corte di Cassazione mantiene, quindi, la barra dritta sull’obiettivo di garantire all’ambiente e agli ecosistemi la tutela adeguata e, quindi, di assicurare la sacrosanta repressione penale di comportamenti scellerati che per l’ambiente e per gli ecosistemi costituiscono fonte di distruzione irrerversibile.
Atteggiamenti che risultano tanto più devastanti quanto siano sistemici, ossia coinvolgenti tutta una filiera: from see to fork, verrebbe da dire parafrasando un inglesismo molto in voga in questo momento in ambito alimentare.
E’ per questo, quindi, che la massima di quel poeta contadino per cui “mangiare è un atto agricolo” andrebbe ormai attualizzato affermando che “mangiare è un atto ambientale”.
E’ per lo stesso motivo, in conclusione, che in materia di tutela ambientale ormai nessuno può più godere di presunzioni assolute di innocenza.
I consumatori responsabili e gli imprenditori seri non hanno che da esserne confortati.
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