Contraffazione della data di scadenza di un alimento: è frode in commercio
Confezioni di scampi recanti etichette con scadenze corrette dai venditori. E’ reato: ma se gli autori sono vari, imprenditori e dipendenti, chi ne risponde?
Qualche giorno fa, ho pubblicato su un altro sito un pezzo dedicato alla delicata questione del rapporto tra data di scadenza o termine minimo di conservazione (TMC) e reato di vendita alimenti in cattivo stato di conservazione; senza, però, fare alcun riferimento a ipotesi di contraffazione della stessa data di scadenza e al reato di frode in commercio.
Indice
Vendita di un alimento scaduto: è reato?
Contraffazione della data di scadenza: è frode in commercio
Quando gli autori del reato sono più d’uno, chi ne risponde?
Vendita di un alimento scaduto: è reato?
Si è rammentato in quella sede che il mero superamento della data di scadenza, e ancora più del TMC, per la legge penale non costituisce automaticamente stato di cattiva conservazione.
Lo ha affermato più volte la stessa Corte di Cassazione in maniera perentoria: la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati, per i quali sia prescritta l’indicazione “da consumarsi entro il…”, “ o ancor più quella “da consumarsi preferibilmente entro il…”, non integra, ove la data sia superata, alcuna ipotesi di reato, ma solo un illecito amministrativo, a meno che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione delle sostanze alimentari.
Contraffazione della data di scadenza: è frode in commercio
La notizia di una recente operazione del Comando dei Carabinieri per la Tutela Agroalimentare dell’Emilia Romagna offre lo spunto per un’opportuna precisazione – integrazione di quanto affermato sopra.
I militari hanno sequestrato a carico di produttori e commercianti del litorale adriatico ingenti quantitativi di molluschi bivalvi vivi denunciando in stato di libertà: 1) due persone per il reato di “tentata frode in commercio” poiché è stato accertato che su 480 confezioni di cozze, per complessivi 480 kg, era riportata una data di confezionamento posticipata rispetto a quella reale; 2) un altro soggetto (anch’egli legale rappresentante di una società commerciale) per la stessa ipotesi di reato poiché veniva sorpreso subito dopo aver apposto su 104 confezioni di scampi congelati scaduti nell’anno 2019, nuove etichette che riportavano data di scadenza anno 2021.
La precisazione, quindi, risulta chiara: se porre in vendita un prodotto alimentare meramente scaduto non è di per sé reato, metterlo in vendita dopo che su quel prodotto si sono fatti “giochi di prestigio” con le date di scadenza costituisce, invece, un chiaro illecito penale. Il reato in questione è l’ormai nota frode in commercio, che sarà pienamente consumata se la transazione commerciale sia stata già consumata, oppure solamente tentata se il commerciante aveva solo posto in vendita il prodotto fraudolento senza che questo fosse ancora stato comprato da nessuno.
Attenzione: qui si fa riferimento solo alla frode commerciale prevista e punita dall’art. 515 del codice penale in assenza di qualsiasi elemento in merito alla nocività o anche solo alla cattiva conservazione del prodotto; perché se qualche elemento in questo senso dovesse esserci, questo non potrebbe non far scattare, in ipotesi, anche ulteriori reati aventi a oggetto la salute.
Quando gli autori del reato sono più d’uno, chi ne risponde?
E’ interessante notare che qualche anno fa la Cassazione emise una rilevantissima sentenza in una vicenda analoga, condannando la responsabile di un supermercato e un suo sottoposto per detenzione di prodotti alimentari con etichetta contraffatta. Più precisamente, la responsabile del punto vendita, secondo la ricostruzione della Corte, aveva impartito al dipendente la direttiva di alterare la data originaria di scadenza riportata sull’etichetta di alcune confezioni di hot dog, sostituendola con una posticipata di venti giorni.
Un’ultima precisazione: la Suprema Corte rigettò radicalmente la difesa del dipendente di aver agito in “stato di necessità”, per usare la categoria del codice penale, ossia di aver “eseguito gli ordini” della sua superiora, in qualità di lavoratore dipendente, in quanto costretto dal timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro da parte della coimputata. Secondo i Giudici del Palazzaccio, infatti, il ricorrente avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori. Quindi, furono condannati entrambi gli imputati.
Anche in questo caso, conoscere questi principi della Corte di Cassazione può risultare molto utile a chi esercita un’attività commerciale: sia da imprenditore che da dipendente.
Buongiorno, avevo una curiosità, se dopo che ho aquistato delle mozzarelle mi sono accorto che manca la data di scadenza posso denunciare la catena supermercato?
grazie