Dalla relazione alla partecipazione, per una nuova ecologia
Nella letteratura del ‘cambiamento’, climatico e sociale, c’è uno cospicuo proliferare di richiami all‘ecologia, assurta a sistema concettuale entro il quale ripensare un gran numero di discipline applicate. Lo testimoniano i diffusissimi titoli di pubblicazioni come ‘Ecologia della mente’, ‘(…) dell’informazione’, ‘(…) del diritto. Interessante comprendere le radici di questo fenomeno che fa da specchio al dibattito sulla sostenibilità.
L’Ecologia, erroneamente confusa con ‘ambientalismo’, è una scienza che si afferma alla fine del XIX secolo, e studia nella biosfera – l’insieme delle zone della Terra in cui si sviluppa la vita – il formarsi di sistemi di interazioni e relazioni fra ambiente e specie viventi. E’ infatti sul concetto di relazione che è basato questo ripensamento multidisciplinare mutuato dall’approccio scientifico dell’Ecologia. Nulla nella Natura, come nella società o nell’individuo, se intesi come sistemi complessi e non oggettivi, avviene per cause univoche, ma piuttosto attraverso un prodigioso innestarsi di concause. Ogni fenomeno è il prodotto di relazioni molteplici, e va da sé che aumentata la complessità della società sia aumentato il grado di complessità dei modelli entro cui analizzarla. O magari grazie ai quali elaborare soluzioni a problematiche altrettanto complesse.
L’Ecologia quando ha affrontato lo studio degli ecosistemi agricoli, dove l’uomo induce trasformazioni ambientali ulteriori rispetto a quelle puramente naturali, piuttosto però che osservarli direttamente nelle società rurali, là dove hanno dimorato per millenni, li ha ricreati nell’ambito dei suoi quadri sperimentali.
Questo ha permesso di indagarli come entità biologiche, ma ha lasciato indietro, all’antropologia forse, i fattori ‘gestionali’, ovvero la valutazione delle effettive pratiche agricole, fondate su conoscenze locali e non-scientifiche, profondamente implicati nella conservazione dei territori.
Non è stato certamente questo solo ‘vizio’ epistemologico a creare la svalutazione della cultura contadina, confinata in giudizi di arretratezza e arbitrarietà, nello sviluppo della ‘moderna’ agricoltura, edificata invece sui paradigmi scientifici della genetica e della biochimica, ma certamente ne è un indizio storico.
La famosa ‘rivoluzione verde’ dei primi del ‘900 ha affrontato la questioni della povertà e della fame prevalentemente come deficit produttivo. L’innovazione del miglioramento genetico, sempre esistito nell’agricoltura di ogni società, divenne sistemico e dovette emanciparsi dalle logiche territoriali, per aumentare rese in campo, trasformazione e commercializzazione, e favorire la trasferibilità delle specie in diversi ecosistemi.
Ma che il collegato sviluppo produttivo non abbia coinciso con quello economico per le società rurali, determinando invece la loro emarginazione, e che il grosso delle nuove tecnologie sia stato recepito dalle aziende già strutturate, con poche ricadute nei contadini, è un segnale importante. Di fatto i veri beneficiari della ‘rivoluzione verde’ sono stati i consumatori delle città, mentre in seno alla società agricola si sono acuite le differenze sociali.
E con i nuovi input ad alta efficienza forniti dall’agro-industria si è andata via via disperdendo la diversificazione tipica del mondo contadino, organizzato in micro-sistemi locali, nei quali ricca biodiversità, collaborazione solidale e gestione comunitaria del territorio sono sempre stati a fondamento.
Il concetto europeo di multifunzionalità dell’azienda agricola, divenuto il leitmotiv dei PSR, non è che il richiamo al modello rurale, sistema di relazioni capillari, nella comunità e con il territorio e le risorse, e dove la relazione stessa è una fattore economico di sviluppo e di sopravvivenza alle condizioni avverse.
La nascita recente dell’Agroecologia, come sistema integrato di conoscenze scientifiche ed esperienze produttive orientato alla sostenibilità, ha spinto in avanti questo accento sulla relazione, sostenendo quello di partecipazione: la risposta alle complesse problematiche ambientali non è disgiunta da quelle sociali, e implica un processo collaborativo delle conoscenze e delle competenze, e un’azione congiunta che non può prescindere, nell’elaborazione di nuove strategie, dal recupero delle vecchie in chiave innovativa. E nelle nuova gestione delle risorse, affiancando sistemi formali e centralizzati con quelli decentralizzati e territoriali.
Valentina Dugo
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