Decreto sanzioni bio: su alcune dubbie conseguenze
Il decreto legislativo nr. 20/2018 contenente le disposizioni di armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica (c.d. decreto sanzioni bio), entrato in vigore il 22.03.2018, al suo allegato 2 contiene una previsione che — a mio modestissimo avviso — lascia un po’ di incertezza circa la sua costituzionalità o, quando meno, in ordine alla ratio-effetto che dovrebbe apportare al buon funzionamento del sistema.
Tale allegato alla lettera C punto 3) statuisce:
«i rappresentanti, gli amministratori degli organismi di controllo e certificazione, il personale addetto all’attività di controllo e certificazione:
- non devono aver riportato condanne definitive (o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale) o essere interessati da procedimenti penali in corso per delitti non colposi per i quali la legge commina la pena di reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-bis, 640 e 640-bis del codice penale, ovvero condanne che importano l’interdizione dai pubblici uffici per durata superiore a tre anni;
- non devono essere destinatari di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, del medesimo decreto;
- non devono avere commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti (requisito richiesto solamente ai rappresentanti ed agli amministratori dell’organismo);
- non devono avere commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro (requisito richiesto solamente ai rappresentanti ed agli amministratori dell’organismo);
- [….]
Ora, se la previsione di esclusione dal rivestire certi incarichi — rispetto alla accertata commissione di alcuni delitti — ha certamente in sé una logica pratica, sfugge (ma sarà una mia mancanza) il motivo per il quale ciò debba accadere anche per coloro che dovessero trovarsi assoggettati da un (semplice) procedimento penale.
Tecnicamente il procedimento penale inizia con lo svolgimento delle indagini preliminari: a séguito della ricezione di un’informazione scritta o orale circa l’esistenza-commissione di un delitto, una persona (in generale, un soggetto) viene indagato. Al procedimento penale segue poi, se del caso, il processo penale, che si instaura quando il pubblico ministero ritiene che quel soggetto indagato, per gli elementi acquisti durante le indagini, debba essere sottoposta a giudizio.
Ora, stando alla previsione del d.lgs. 20/2018, pare che un soggetto appartenente ad un organismo di controllo (OdC), per il solo fatto di essere sottoposto ad un’indagine, non possa/non debba più rivestire alcun ruolo all’interno della detta struttura.
Così stando le cose, basterebbe che (per esempio) il direttore, un tecnico ispettore… ricevesse una denuncia-querela per un reato doloso (1) e si produrrebbe l’automatica espulsione (?), sospensione (?), allontanamento con ignominia (?) dall’OdC… anche quando poi, magari dopo due o tre anni, quel procedimento penale venisse archiviato, cioè, quando a séguito delle indagine, non si riscontrassero fatti degni di essere processati e quel soggetto prima allontanato si scopre essere del tutto innocente.
Mi pare un automatismo assai pericoloso.
Ma non solo. Ricordiamolo (ché giova sempre): in Italia vige il principio di non colpevolezza, anzi di innocenza. Non può il solo procedimento penale essere considerato un fatto capace di inficiare il buon nome e/o la reputazione di alcuna persona, né di alcun soggetto giuridico.
Mi si dirà: attenzione! più volte il legislatore ha impropriamente utilizzato il concetto di procedimento penale come sinonimo di processo penale.
Ma anche ipotizzando di questa ‘svista’, pur quando il legislatore avesse voluto intendere di giudizio penale pendente, nulla cambia rispetto alle considerazioni precedenti.
L’impossibilità di rivestire determinate funzioni-incarichi deve (in generale) derivare da una sentenza passata in giudicato e non già da una mera indagine… tranne se e quando ci fossero esigenze cautelari che, ancorché essere assoggettate alla riserva di legge e di giurisdizione, sono sempre temporanee.
A mio modesto avviso, prevedere le automatiche conseguenze di cui al citato allegato 2 del d.lgs. 20/2018, per il solo fatto di avere un procedimento penale pendente (ma fosse anche un processo penale!), è cosa che è fuori da ogni logica penalistica, forse (e peggio ancora) dai principi costituzionali.
- ••
(1) Si tratta di denuncia o querela per delitti non colposi per i quali la legge commina la pena di reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-bis, 640 e 640-bis del codice penale, ovvero condanne che importano l’interdizione dai pubblici uffici per durata superiore a tre anni.
Massimo Palumbo
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