Del PAN pesticidi, delle sue sanzioni, della natura umana e di Robert De Niro
Del Piano d’azione nazionale (PAN) sui pesticidi, ci siamo già occupati di recente in questo blog.
Come già evidenziato, si sta svolgendo proprio in questi giorni una consultazione popolare sulla bozza di aggiornamento del primo PAN.
Una cosa tra pochi intimi, più che altro, dato il rapporto non proprio proporzionale fra l’importanza della questione per la vita quotidiana della totalità dei cittadini di questo paese (o almeno di quelli che hanno l’abitudine di mangiare) e la risonanza sociale, per così dire, che questo evento sta registrando; a partire, naturalmente, dai settori della società più alti: dai media agli intellettuali, dagli artisti alle “classi dirigenti” (absit iniuria verbis) più in generale.
Come che sia, all’interno di questo procedimento di partecipazione democratica in miniatura, qualche giorno fa si è tenuto un momento di dibattito pubblico a Roma.
Gli estensori della bozza l’hanno illustrata e le opposte parti sociali hanno espresso le loro valutazioni sul tema.
Se si potevano avere dei dubbi dalla mera lettura del testo, la sua interpretazione autentica per mano dei suoi autori li ha fugati del tutto: anche il secondo PAN è frutto di una concezione graniticamente ottimistica della natura umana, praticamente panglossiana.
L’idea di fondo è che gli utilizzatori di pesticidi (pardon, “prodotti fitosanitari”, come sono stati indefettibilmente chiamati dall’inizio alla fine dell’incontro da tutti i relatori, come un sol uomo, che evidentemente dovevano aver stilato un rigido protocollo semantico per l’occasione) abbiano solo bisogno di “incentivi”, “comunicazione”, “sensibilizzazione”, “formazione” per perseguire il sol dell’avvenire dell’ “uso sostenibile”. “Nudge” in salsa italica, insomma.
Al massimo, nell’immaginario dei redattori della bozza, potrebbe verificarsi qualche impersonale “criticità” (sic!) nell’attuazione delle previsioni del Piano (come, peraltro, sarebbe già accaduto con il PAN appena scaduto, a quanto si è potuto decodificare in qualche passaggio dei relatori appena meno ermetico della media sul punto).
Di sicuro, non è contemplata l’evenienza di autentiche violazioni (altro termine tabù nel dotto consesso romano) della normativa. Ergo, per i cultori del principio della “spinta gentile” che hanno scritto l’articolato in discussione, non è neppure il caso di pensare alle sanzioni come uno dei possibili strumenti e campi di azione per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del PAN (“un uso sostenibile dei pesticidi riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull’ambiente”, ex art. 1 della Direttiva n. 128\2009, che dei PAN di tutti gli stati membri è la fonte originaria); o meglio, di porsi il problema dell’adeguatezza dell’attuale apparato sanzionatorio – che pure esiste ed è contenuto essenzialmente in due decreti legislativi: il n. 150 del 2012, in materia di “utilizzo sostenibile dei pesticidi”, e il n. 69 del 2014, relativo “all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari.”
Testi che, peraltro, prevedono solo illeciti e misure di natura rigorosamente amministrativa; nessun reato, dunque. Ciononostante, è l’idea stessa di sanzione nei confronti degli autori di qualsivoglia tipo di utilizzo di pesticidi, foss’anche il meno “sostenibile”, che deve esser ritenuta terribilmente sconveniente da parte dei dirigenti dei tre ministeri che hanno concorso alla stesura della bozza, se è vero che in quest’ultima è tutto un florilegio di proponimenti di “favoreggiamento verso l’aumento del livello di consapevolezza”, di “promozione della attività di comunicazione, informazione e sensibilizzazione”, di “rafforzamento delle sinergie”.
Per carità, nessuno scandalo: questo è un paese nel quale, ab urbe condita, una delle costanti indefettibili nell’etica pubblica e, per l’effetto, nelle tendenze politico – culturali più ramificate nonché nella produzione legislativa è la “fuga dalla sanzione”, come fu definita da un prestigioso giurista; anche nei confronti di fatti e soggetti ben più meritevoli di pena di quelli oggetto di questo scritto. Insomma, indulgenza plenaria, prescrizione, condoni e amnistie; altro che nudge!
E non si poteva certo chiedere al PAN di provare ad invertire – in un ambito tutto sommato di scarso valore sociale nella percezione dei più, come già detto – la rotta di una nazione, da sempre, allegramente lanciata a bomba verso l’ingiustizia.
Nonostante tutto questo – per dirne solo una – scrivere che “gli utilizzatori professionali sono tenuti a conservare presso l’azienda il registro dei trattamenti effettuati”, perché questo “risponde a finalità di controllo nell’ambito dei piani di monitoraggio e di controllo ufficiale realizzati sul territorio”, e poi non farsi neanche sfiorare da un dubbio sulla reale efficacia della sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.500 euro che è attualmente prevista (dal citato D. Lvo 150\2012) in caso di violazione degli obblighi di tenuta di quello stesso registro resta prestazione logico – giuridica stupefacente.
Se ne siano resi conto o meno i suoi autori, il PAN è un testo che contiene principi normativi e, in alcuni casi (come quello visto), norme vere e proprie: e una norma è fatta da un precetto e da una sanzione, si insegna al primo anno di giurisprudenza.
Una norma giuridica, almeno.
Il resto è solo chiacchiere ed incentivo.
Buoni al massimo per prendere qualche finanziamento europeo.
Non certo per difendere l’ambiente e la salute pubblica da uno dei loro nemici più subdoli e nocivi come i pesticidi.
Pubblicato su “ilfattoquotidiano.it” il 7\9\2019
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