Di pesticidi, di inquinamento ambientale, di effetto deriva, di condanne pilota – Note a margine della giornata mondiale delle api


20 maggio: giornata mondiale delle api.

E’ una ricorrenza particolare per queste fondamentali erogatrici di servizi ecosistemici, come si dice nei contesti solenni: “sono in pericolo. I tassi di estinzione delle specie attuali sono da 100 a 1.000 volte più alti del normale a causa delle attività umane. Quasi il 35% degli impollinatori invertebrati, in particolare api e farfalle e circa il 17% degli impollinatori vertebrati, come i pipistrelli, stanno affrontando il pericolo di estinzione a livello globale”.

Lo afferma l’Onu, in una nota diffusa proprio in occasione della ricorrenza in questione, non un’associazione di ambientalisti esagitati.

A questo quadro già di suo sì roseo, le Nazioni Unite aggiungono un altro elemento: “la recente pandemia di Covid-19 ha avuto un innegabile impatto sul settore dell’apicoltura, interessando la produzione, il mercato e, di conseguenza, i mezzi di sussistenza degli apicoltori”,

Più che a un festeggiamento, questa giornata, quindi, sembra assomigliare a un preavviso di funerale.

Del funerale di un’intera specie, peraltro.

Né arrivano notizie particolarmente fauste dal fronte delle cause, e quindi delle responsabilità, di questa situazione potenzialmente letale per le api: le “attività umane” cui si accenna nel comunicato Onu.

Sono di varia natura, ma ce n’è un tipo che si è rivelato micidiale: quelle che riguardano l’uso e soprattutto l’abuso di pesticidi.

Per restare a questo paese, per esempio, da un lato vi sono procedimenti pilota in ambito giudiziario penale come quello condotto dalla Procura della Repubblica di Udine (di cui ci siamo già occupati in questo blog) che ne ha istruito uno a carico di un gruppo di agricoltori locali cui viene imputato di aver “contributo a cagionare una compromissione e/o deterioramento misurabile e significativo di un apiario posto in prossimità dei fondi” coltivati dagli indagati “ricadenti nel raggio d’azione delle api bottinatrici”; apiario che, “a seguito della semina del mais conciato con prodotto fitosanitario MESUROL, subiva un massiccio spopolamento dei pronubi ivi allevati.”

Quello contestato dai magistrati friulani, per la precisione, è il reato di inquinamento ambientale (la legge che lo ha introdotto nel nostro codice penale dopo un’attesa ultraventennale ha compiuto proprio ieri i suoi primi cinque anni, per rimanere in tema di celebrazioni).

E questa sorta di esperimento penale (il cui esito processuale è ancora tutto da verificare) – a mezzo di una delle norme di tutela ambientale più importanti che siano mai state emanate in Italia – lascia ragionevolmente sperare che la difficilissima causa della difesa legale delle api oggi disponga di un valido strumento; e che questo procedimento costituisca, per di più, un sipario alzato su un amplissimo palcoscenico di reati contro l’ambiente e la salute pubblica sulla cui lesività si accumulano ormai evidenze, fattuali e scientifiche: quelli commessi a mezzo di diffusione \ contaminazione da pesticidi, per l’appunto.

D’altro lato, però, i segnali che giungono da altri ambiti del nostro ordinamento giuridico non lasciano proprio presagire magnifiche sorti e progressive: per le api e, quindi, per le matrici ambientali e la salute degli umani.

Un cenno ad alcuni casi particolarmente eclatanti.

L’attuale quadro normativo in materia di pesticidi, nei suoi due testi principali di riferimento (il Decreto Legislativo 14 agosto 2012, n. 150, in materia di “Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi”, e il Decreto Legislativo 17 aprile 2014, n. 69, “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1107/2009 relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari”), non prevede alcuna autonoma sanzione penale. Con tutto quello che questo comporta in termini di deterrenza dell’apparato sanzionatorio previsto dalle leggi in questione.

E con alcune chicche, come quella che connota il citato decreto legislativo n. 150 del 2012, che ha introdotto la cosiddetta “difesa integrata obbligatoria”.

Al comma 1 dell’art. 19 di questa legge, si sancisce, infatti, che “gli utilizzatori professionali di prodotti fitosanitari, a partire dal 1° gennaio 2014, applicano i principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all’allegato III. La difesa integrata obbligatoria prevede l’applicazione di tecniche di prevenzione e di monitoraggio delle infestazioni e delle infezioni, l’utilizzo di mezzi biologici di controllo dei parassiti, il ricorso a pratiche di coltivazione appropriate e l’uso di prodotti fitosanitari che presentano il minor rischio per la salute umana e l’ambiente.”

Il dato più singolare della vicenda è che, come si accennava, questa legge crea chiaramente un “obbligo” a carico di una certa categoria di soggetti, gli utilizzatori professionali di prodotti fitosanitari; ma non prevede alcuna sanzione in caso di violazione di quell’obbligo.

Ognuno può agevolmente farsi una propria idea sulla reale utilità, per non dire sul senso stesso, di un “obbligo” di tal fatta.

Per non dire, in conclusione, della bozza di Piano d’azione nazionale (che, in fondo, sarebbe pure sempre un testo normativo) – presentata e discussa dalle varie parti sociali ormai vari mesi fa e oggi sfuggita ai radar (sulla pagina del Mipaaf l’ultimo “aggiornamento” sul punto risale al 31\7\2019, quando si comunicava la “apertura della consultazione”) – che non pare proprio un’arma decisiva al fine di garantire l’utilizzo sostenibile dei pesticidi, contrariamente alla sua stessa ragion d’essere legislativa.

Come si può ricavare dal fatto che qui si scorge una vera e propria idiosincrasia al concetto stesso di sanzione; che non vi si prevede alcuna seria misura per contrastare il dannosissimo fenomeno (anche per la stessa sopravvivenza di molte aziende biologiche) del cosiddetto “effetto deriva” dei pesticidi ecc….

Questo mentre negli Usa, pochi mesi fa, veniva emessa la prima pionieristica sentenza di condanna proprio in ambito di effetto deriva. A carico di due multinazionali dei pesticidi, Basf e Monsanto – Bayer ça va sans dire, condannate perché produttrici di fitofarmaci a base di Dicamba, l’erbicida erede naturale del glifosato: 265 milioni di dollari per danni compensativi e punitivi, per avere causato la morte di più di 30mila alberi di pesco in un frutteto vicino alle piantagioni di soia OGM, ove l’erbicida ad ampio spettro veniva irrorato a volontà.

Sì, bisogna davvero cambiare strada nei campi, come confermano anche a Bruxelles con la presentazione, proprio oggi, della strategia “Farm to fork”.

Se no, in tempi neanche tanto remoti, la giornata mondiale delle api potrebbe trasformarsi nella giornata della memoria delle api.

 

 

 

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