Di primitivo, di biologico, di convivio e di altre amenità – Note su una domenica un po’ diversa


Decidi di passare una bollente domenica di agosto un po’ diversa: per cantine, un po’ diverse.

Conosci produttori, persone, vini altri.

Una gentile signora che produce un vino di quello che fino a qualche anno fa era “l’altro Primitivo”, quello di Gioia del Colle – e che oggi è, forse, “il” Primitivo.

A quanto pare, il vino della signora arriva in tanti, apprezzanti, calici tedeschi e di varie altre parti d’Europa e di mondo, ma da queste parti non è proprio una celebrità.

Lei accoglie i due inaspettati visitatori nella sua cantina, in modo molto “spartano”, offrendo una cassetta capovolta per sedere: non ha un’area degustazione, non è attrezzata per ricevere potenziali clienti.

In compenso, spiega tutto delle sue vigne, delle sue uve, del suo procedimento di vinificazione, della fermentazione, dei lieviti, della solforosa.

Sa di che parla ed è piacevole ascoltarla.

Invita i due curiosi ospiti a visitare i vigneti dell’azienda, dislocati in tre punti diversi della campagna: vuole che i suoi interlocutori abbiano un riscontro diretto alle sue parole. O, più semplicemente, è fiera delle sue piante.

L’azienda di quella signora è finita su una guida nazionale di “vino critico”, ma lei non ne sapeva niente.

E’ chiaro che la signora e la sua cantina fanno vino, non marketing, essenzialmente.

E’ una buona carta d’identità: per lei e per i suoi vini.

Prosegui il tour e finisci in una grande tenuta, nella stessa zona.

Qui la struttura dell’azienda è decisamente più organizzata e i due eno-turisti, per quanto non attesi neanche in questo caso, vengono accolti in un patio assai più confortevole.

Il titolare della tenuta è un medico mancato, e anche lui si dimostra subito assai ben disposto a raccontare delle sue vigne, delle sue produzioni, della storia della sua azienda e della sua famiglia, almeno nella parte in cui le due storie si intrecciano.

Da quello che dice sul suo lavoro con il vino, e da come lo dice, il fatto di non esser arrivato a indossare un camice bianco non pare esser stato un grande trauma per lui. O, quantomeno, deve averlo ormai elaborato perfettamente.

Dopo una lunga narrazione, invita i due visitatori nel cuore della tenuta: in cantina.

Due – tre primitivi si susseguono nei calici Iso spillati direttamente dai grandi contenitori in acciaio.

Sono vini ancor acerbi, ma la sensazione che trasmettono a naso e palato è che hanno davanti a loro una vita ricca di soddisfazioni. Specie per chi li berrà al momento giusto.

La cosa più interessante che hanno in comune la signora e il medico mancato, però, è la scelta che hanno fatto entrambi, molti anni fa, per una vigna e per un vino più puliti e più sani: in una parola, biologici.

Pur senza alcuna simpatia per nessun tipo di “fondamentalismo”, come afferma subito, presentandosi, il medico mancato.

Non è precisazione superflua, la sua: in questo ambiente, in particolare, non sono pochi coloro che, partendo dalla sacrosanta necessità di curarsi della madre terra, sono finiti a teorizzare, come improbabili disciplinari di vinificazione, curiosi cortocircuiti tra terra e cielo.

Anche in questo caso, il padrone di casa sembra parlare con cognizione di causa.

Fa bene al cuore – oltre che a vari altri organi – scoprire che il vino si conferma un terreno di elezione di minoranze agro-virtuose, peraltro in lenta ma costante crescita; anche da queste parti.

Se poi, qualche sera dopo, bevi con amici storici un paio di bottiglie comprate in quel mini-tour enoici e ne risulta deliziato anche l’apparato gustativo dei commensali, allora hai la conferma che anche una caldissima domenica di agosto può essere impiegata in modo molto costruttivo.

9\8\2018

Stefano Palmisano

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