Diario breve di soste d’assaggio di un simpatizzante enoico inesperto


Chi si interessa di vino, per lavoro o per piacere, quando viaggia ha più opportunità di conoscenza.

Se, poi, quell’interesse riguarda anche, e soprattutto, il vino naturale (per usare l’aggettivo più comodo), quelle opportunità possono risultare ancora più sorprendenti.

Perché il soggetto in questione può fare tappe che possono lasciare un segno al viaggio.

Gli può capitare, per esempio, di ritagliarsi un’ora per visitare un’azienda vitivinicola posta su una magnifica collina del piacentino e di essere accolto da un affabile giovanotto statunitense che, ad onta della sua giovane età, sciorina con garbo e sobrietà una enorme esperienza professionale nel mondo del vino costruita da una parte e dall’altra dell’Atlantico, da un’enoteca internazionale di San Francisco alle vigne di Frappato alle pendici dei Monti Iblei, per approdare in una cantina che – spiega quel giovanotto – nasce dalla visione “francesizzante” di un avvocato della fine dell’800 e poi, con l’ultima proprietaria e i suoi collaboratori, vira decisamente verso la riscoperta del suo giacimento enoico locale, dalla Barbera alla Bonarda, dalla Malvasia aromatica di Candia all’Ortrugo.

Può scoprire, dal suo anfitrione, che quell’azienda ha fatto uscire prima dalla Doc i suoi vini e si accinge a farli uscire anche dall’Igt, perché non si riconosce più nelle “politiche di qualità” del consorzio di tutela (dinamica che inizia a diffondersi, peraltro, come si è messo in evidenza in altro post), che cozzano in modo frontale con quelle di quell’azienda, che hanno al loro cuore il rapporto consustanziale dei vini che produce con le matrici ambientali e con la cultura di quel territorio.

Gli può succedere, poi, di degustare dei vini mediamente “più difficili” di quelli convenzionali, alcuni dei quali immediatamente apprezzabili nelle loro peculiarità, e notevoli qualità, organolettiche; altri che non berresti in un wine bar, come aperitivo, e che necessitano di contesti e compagnie adeguate per essere appena disvelati, se non proprio compresi. In ogni caso, vini che, anch’essi, sono destinati a non scivolar via dalla memoria gusto-olfattiva molto facilmente.

Gli può accadere, infine, di passare a salutare la proprietaria dell’azienda e di rimanere a discutere con lei per un’altra ora buona di rischi e benefici della regolamentazione del vino naturale, di senso della certificazione, di rapporto diretto tra produttori e bevitori, di responsabilità del vignaiolo verso l’ambiente e verso le persone che entrano in contatto con lui o con lei, di idee altre di produzione, di consumo, di rapporti sociali, di etica individuale.

E così quell’ora che il viaggiatore enocurioso si era ritagliato finisce per triplicarsi e “il ritaglio” diventa praticamente l’intera mattinata, mettendo seriamente a rischio il resto del programma della giornata.

Senza, peraltro, che questo crei particolari rimorsi nell’autore del ritaglio sfuggito di mano.

Potenza della Barbera dei colli piacentini!

Il seguito alla prossima pagina del diario.

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