Il film è servito: breve dissertazione sul rapporto cinema-cibo (parte III)


Il nostro viaggio nelle “cucine” del cinema italiano è arrivato al suo capitolo finale. Dopo aver analizzato come il cibo sia stato rappresentato dal Neorealismo e negli anni d’oro della Commedia all’italiana, è il momento di passare in rassegna i decenni successivi per arrivare ai giorni nostri.

Il pasto, negli anni Settanta, diviene sfogo emotivo, compensatorio, psicologico: ne La grande abbuffata (M. Ferreri, 1973) i protagonisti (Noiret, Mastroianni, Tognazzi e Piccoli) decidono di abbuffarsi fino alla morte per sfuggire ai loro problemi esistenziali. Non più mangiare per vivere, bensì per morire: di una morte d’alto rango però, gustando piatti prelibati e vini costosissimi. Il cibo, dunque, perde quel valore sacrale che aleggiava nei film degli anni precedenti, ancora memori delle difficoltà di approvvigionamento e della fame del dopoguerra. Il risultato è un’Italia sprecona, che ha quasi a spregio il cibo: un riflesso della crisi e delle contestazioni che hanno attraversato quegli anni.

Seppur in chiave comico-grottesca, un altro esempio delle fratture sociali dell’epoca è rappresentato dall’episodio Hostaria! de I nuovi mostri (1977), diretto da Scola: a tavola, intellettuali dal palato fino, in attesa di piatti “rustici ma genuini”; in cucina, cuoco (Tognazzi) e cameriere (Gassman) che litigano lanciandosi gli ingredienti addosso. L’episodio vuole mettere a confronto l’Italia popolare, fatta da chi non è riuscito a trarre vantaggi dal boom economico, con l’emergente categoria dei ricchi intellettuali, attraverso la contrapposizione fra i raffinati clienti ed i rozzi ristoratori: gli uni discorrono amabilmente sugli “antichi sapori dimenticati”, gli altri si lanciano contro verdure, salsicce e spaghetti, si siedono sulle uova ed infilano i piedi nelle pentole. “Fanno ancora il battuto per il soffritto come la mia povera mamma!” esclama un commensale, entusiasmato. In realtà, è Tognazzi che colpisce il piede di Gassman col mattarello. “Stanno ammazzando il tacchino, qui preparano tutto al momento!” afferma un altro, compiaciuto, sentendo le urla del cameriere morso dal cuoco. Al termine della colluttazione la cucina è devastata, così come le pietanze. Un sigaro finisce addirittura nella zuppa, ma i clienti apprezzano e mangiano di gusto, complimentandosi per la fantastica “Zuppa alla porcara”. “È un po’ caro, ma ne vale la pena!”. Una frecciatina verso i radical-chic?

Dopo le difficoltà degli anni Settanta, l’Italia gode di una nuova fase di crescita economica. Gli anni Ottanta, gli anni degli Yuppies, sono caratterizzati da una nuova immagine del corpo, condizionata anche dalle pubblicità: sono gli anni delle diete dimagranti.

Nel film Dove vai in vacanza? (1978) l’episodio de Le vacanze intelligenti, di e con Alberto Sordi, mostra una coppia di fruttivendoli a cui i figli, salutisti e progressisti, organizzano la villeggiatura e riformano totalmente il regime alimentare. “A volte, la fame è dovuta a stati d’ansia e a conflitti non risolti” afferma un cliente della trattoria dove i due consumano un triste riso scondito. “Ma io e la mia signora non siamo ansiosi” ribatte Sordi. “Non abbiamo conflitti non risolti: abbiamo solo fame!”. Stremati ed affamati, finiscono col lanciarsi su pietanze ipercaloriche, sotto lo sguardo attonito di un gruppo di nobili snob, i quali verranno tuttavia conquistati da salsicce, fagioli e pappardelle. Anche qui, è da sottolineare il contrasto fra le diverse categorie sociali. Al termine dell’abbuffata, alla povera Anna Longhi verrà fatta una lavanda gastrica, a seguito della quale avrà di nuovo fame.

Altra figura rappresentativa del clima dell’epoca è il ragioner Ugo Fantozzi, personaggio creato da Paolo Villaggio innalzatosi a simbolo dell’italiano medio. Abbandonata la sua mega frittata di cipolla, la birra gelata ed il rutto libero davanti alla televisione, in Fantozzi contro tutti (N. Parenti, 1980) è costretto a seguire una durissima dieta in una clinica specializzata, diretta dal dietologo tedesco professor Birkermaier. Quando il direttore del centro lo invita a cena per testare la sua forza di volontà, lui consuma di nascosto alcune polpettine, per venire poi severamente punito.

Anche Carlo Verdone affronta la tematica della dieta in alcuni suoi film. In Acqua e sapone (1983), alla dieta obbligata di una futura modella, a base di soli pompelmi e yogurt, si contrappongono le prelibatezze di pasticcerie e trattorie romane. In 7 Chili in 7 Giorni (L. Verdone, 1986), dopo i digiuni forzati e la razzia di cibarie da parte dei pazienti, i protagonisti decidono di cambiare settore, aprendo un ristorante chiamato “Ai due porconi”.

Gli anni a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta hanno anche visto l’avvento della cucina estera, dai fast food ai ristoranti asiatici. In Fantozzi (L. Salce, 1975) il ragioniere, che corteggia da anni una sua collega, la signorina Silvani, la invita a mangiare in un ristorante giapponese, con esiti disastrosi: non riesce a farsi capire, non sa usare le bacchette, si ustiona con un piatto rovente.

Il cibo può assumere anche un significato intimista, se a parlarne è Nanni Moretti: l’elogio alla Sacher Torte, così come il gigantesco vaso di Nutella sul quale si getta per consolarsi delle sue pene d’amore, sono scene memorabili del film Bianca (1983).

In tempi più recenti, il cibo diventa mezzo di comunicazione: attraverso i grandi pranzi vengono raccontate la famiglia, l’amicizia e le relazioni umane in generale. Il mangiare diventa dunque un pretesto per raccontare una storia, una cornice narrativa. È evidente in film come Storia di ragazzi e di ragazze di Pupi Avati (1989), Parenti serpenti di Monicelli (1992) o nei più recenti Il pranzo della domenica (C. Vanzina, 2003), Il pranzo di Ferragosto (G. Di Gregorio, 2008) e Perfetti sconosciuti (P. Genovese, 2016).

Il regista che forse più di tutti è riuscito ad utilizzare l’espediente narrativo del pasto è Ettore Scola, che lo ha adoperato in numerosi suoi capolavori. È all’interno della trattoria romana “Dal Re della mezza porzione” che i protagonisti di C’eravamo tanto amati (1974) vivono i momenti salienti della loro trentennale amicizia, fra alti e bassi. Motore per ricostruire una vecchia amicizia, lo spaghetto di Scola è consolatore, purché la mezza porzione sia abbondante, mi raccomando! Ne La famiglia (1987), Scola dipinge il ritratto di una famiglia borghese italiana dall’interno di un appartamento del rione Prati di Roma. Il protagonista, Carlo/Gassman, è seguito dal suo battesimo (1906) fino al suo ottantesimo compleanno (1986) e diversi momenti cruciali avvengono durante pranzi, cene o feste in casa. Celebre la scena in cui Sergio Castellitto fa assaggiare a suo nonno, che stava mangiando una minestrina, una forchettata di spaghetti. Il film La cena (1998), poi, è totalmente ambientato all’interno di un ristorante, nel quale si svolgono varie storie, dialoghi ed avventure dei clienti e del personale nelle cucine.

Anche Ferzan Ozpetek, nei suoi film, presta molta attenzione ai gesti del cucinare e mangiare insieme. Attraverso l’iniziazione all’arte dolciaria i protagonisti de La finestra di fronte (2003) trovano un linguaggio comune, riemergendo dalla solitudine. In Mine vaganti (2010), il cibo ha un ruolo considerevole: i protagonisti possiedono un pastificio a conduzione familiare, mentre i dolci segneranno il destino della nonna del protagonista (Ilaria Occhini).

Il tema cinema-cibo è vasto e variegato quanto il panorama culinario italiano. Se si esamina anche la cinematografia estera, poi, la materia risulta quasi infinita. Questa piccola ed umile esposizione termina qui, augurando ai lettori buona visione (e buon appetito!).

Per approfondire:

Cibo E Cinema, Binomio Vincente

Il cinema italiano e il cibo. 14 Film a tavola

La cucina nel cinema

Semiotica alimentare rapporto tra cinema italiano e cibo

Un ringraziamento anche alla pagina Facebook Indagine Di Una Cittadina Al Di Sopra Di Ogni Sospetto per gli ottimi consigli.

Martina Novelli

+ There are no comments

Add yours