Il vino sostenibile “4.0” – Prime note sui vitigni resistenti
Dell’analisi e della divulgazione sulla sostenibilità in ambito ambientale e alimentare, questo blog ha fatto la sua sostanziale ragion d’essere.
Infatti, questo è il tema più ricorrente negli articoli prodotti, a firma di autori vari, nel primo anno di vita di Cibo Diritto.
In particolare, è il vino l’ambito di applicazione della sostenibilità ad essere maggiormente esaminato su queste pagine.
Si può ben dire che questo blog con il vino sostenibile ha una relazione privilegiata, tanto da aver contribuito attivamente anche alla realizzazione di due importanti momenti pubblici di approfondimento e di divulgazione in questa materia negli ultimi mesi.
Tuttavia, finora abbiamo scandagliato questo macro-argomento sostanzialmente in due sue espressioni, quelle che, per molti versi, oggi sono le più significative nell’immaginario e nel consumo concreto dei bevitori: il vino biologico e quello “naturale” (con le virgolette del caso, di cui si è provato a illustrare il senso in alcuni posts).
Salve le dovute (e non sempre nettissime) differenze esistenti tra loro, queste due categorie di vino sostenibile godono di una riconoscibilità e di un riconoscimento ormai ben consolidati tra il pubblico: il vino biologico grazie a una normativa ben definita, effettiva e ormai rodata su scala europea; e il vino naturale – che nella parte regolamentare presenta le sue maggiori criticità – in forza di sistematici richiami all’autorità, più o meno indiscutibile, del passato.
Vi è, però, un altro aspetto della sostenibilità enoica che a tutt’oggi su questo blog è rimasto del tutto inesplorato, per non dire ignorato; ed è arrivato il momento di porre rimedio a questa lacuna: si tratta di quello “tecnologico” o “del futuro”, come viene caldamente sostenuto dai suoi sostenitori.
Si sta parlando dei cosiddetti “vitigni resistenti”.
E’ un genere, anche questo, ancora non perfettamente delineato, anche perché molto ampio: tanto da comprendere al suo interno specie significativamente differenti tra loro: ibridi ottenuti con i metodi tradizionali di miglioramento genetico, PIWI, prodotti ottenuti con il cosiddetto editing genomico, News breeding technique (NBT)…
Prodotti diversi tra loro, come si accennava, sia nella sostanza scientifica e agronomica, sia nelle implicazioni ambientali e culturali, sia nelle prospettive regolamentari e commerciali (per esempio, con riferimento ai vini a denominazione di origine).
Si tratta di operazioni tecnologiche e produttive che nascono da sensibilità, istanze e intenti di dichiarata aspirazione alla sostenibilità; come il cercare rimedi a una situazione ambientale nella quale la vite oggi occupa il 3% della superficie agricola europea ma consuma il 65% di tutti i fungicidi distribuiti nei campi.
Ma che, ciononostante, hanno già dato vita ad aspri dibattiti, come peraltro è ampiamente comprensibile, sulle implicazioni di tutela ambientale e sicurezza alimentare che queste innovazioni comportano; all’interno dei quali si è inserita anche una sentenza dello scorso anno della Corte di giustizia dell’Unione Europea sulle su citate NBT, che non si mancherà di esaminare.
Da oggi, Cibo Diritto inizierà ad occuparsi anche di questa sorta di “sostenibilità enoica 4.0”.
Proveremo a capire e a far capire le opportunità e i limiti, i benefici possibili e i rischi concreti che comporta la via tecnologica al vino sostenibile.
Partendo da un principio ispiratore di questo blog che si è già avuto modo di esplicare in altro articolo (facendo sin d’ora ammenda per l’autocitazione): l’agroecologia del terzo millennio non può rinunciare, per ottusa spocchia scientista, a tante buone pratiche e saperi dal basso solo perché privi di pedigree epistemologico. Ma non può neanche pensare seriamente che le criticità – quando non vere e proprie emergenze – sistemiche dell’agricoltura nell’era dei cambiamenti climatici si possano affrontare solo con le nude mani “della tradizione” nella versione ufficiale dei suoi arcigni, e spesso folclorici, custodi.
Questi elementari concetti non possono non valere anche per il vino; soprattutto per il vino, verrebbe da puntualizzare, dato il suo complessivo impatto sull’ambiente che si rammentava sopra.
La ricerca della sostenibilità impone uno spirito laico e un approccio sobrio: specie quando si tratta di vino.
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