Ilva: per i morti e i malati per lavoro si può ancora avere giustizia
La Corte d’appello di Lecce condanna due ex dirigenti dello stabilimento di Taranto per la morte da mesotelioma di alcuni operai esposti per anni ad amianto
Indice
La sentenza
Il processo
Una (buona) morale
1) La sentenza
Ieri la Corte d’appello ha condannato due ex dirigenti dello stabilimento Italsider \ Ilva di Taranto per l’omicidio colposo di sei lavoratori morti di mesotelioma pleurico; per altri tre ha dichiarato la prescrizione del fatto: è passato troppo tempo da quando sono morti e il reato così è andato in fumo.
2) Il processo
Si chiude una vicenda processuale che chi scrive ha iniziato a seguire – come difensore dell’Associazione Italiana Esposti Amianto costituita parte civile – da quando è iniziato il dibattimento, nell’ottobre 2012, innanzi al Tribunale di Taranto.
Sono stati nove anni di udienze lunghe e faticose, di gradi e sedi diverse di giudizio – dal primo e secondo grado a Taranto fino ai due processi di Cassazione, a Roma, per tornare, in sede di giudizio di rinvio, a Lecce – di questioni giuridiche complesse, di contraddittori aspri, di pietre d’inciampo processuali, più o meno giustificate, tra diritti di garanzia degli imputati e diritti di giustizia delle vittime.
Nove anni di lavoro duro e appassionato; che forse non è ancora finito, dato che c’è ancora la possibilità di un altro ricorso per Cassazione degli imputati condannati.
Ma ieri questo lavoro, quello di altre parti civili e quello della Procura Generale di Lecce hanno sortito un risultato importante.
Nessun trionfalismo e la consapevolezza che in Cassazione può cambiare di nuovo tutto.
3) Una (buona) morale
Ma c’è una notizia che merita di essere adeguatamente evidenziata e comunicata: secondo una Corte d’appello di questa Repubblica, è ancora possibile affermare il nesso causale tra l’esposizione a una micidiale sostanza tossica come l’amianto e la morte da mesotelioma di uno o più sventurati che a quella sostanza sono stati esposti, a lungo esposti: sul posto di lavoro, per ragioni di lavoro.
E, sulla base di questa evidenza, secondo quella stessa Corte si può, si deve condannare penalmente chi ha esposto quelle persone a quella sostanza senza garantire loro le necessarie e adeguate protezioni.
Vuol dire che in questo Paese la tutela penale della salute dei lavoratori e dei cittadini non soffre (ancora) di zone franche; neanche in quei terreni bui e dolorosi che sono le malattie da lavoro, quelle da inquinamento ambientale, fuori o dentro le fabbriche.
Non è una notizia da poco, specie di questi tempi.
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