Importazione di vongole: obblighi degli OSA


Gli importatori di prodotti alimentari confezionati sul territorio dell’Unione europea che non vogliano incorrere in responsabilità penali hanno l’obbligo di introdurre nel nostro Paese sostanze alimentari rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle vigenti disposizioni nazionali in materia.

Tale obbligo sussiste anche prima dell’effettiva messa in commercio del prodotto alimentare sul territorio nazionale poiché il limite alla libertà di circolazione dei prodotti nell’ambito dell’Unione, prevista dalla normativa comunitaria, è legittimo ove si ponga a salvaguardia della salute pubblica.

INDICE

Importazione di vongole: cariche microbiotiche non consentite

Importazione di vongole – La difesa: le vongole non ancora vendute e apparentemente integre

La decisione: l’obbligo di controllare le qualità degli alimenti importati

Importazione di vongole spagnole: cariche microbiotiche non consentite

È questo il cuore di una recente pronuncia1 della Suprema Corte che si è occupata di una vicenda in materia di sicurezza alimentare e di conseguente applicazione della disciplina igienica per la produzione e la vendita degli alimenti e delle bevande2.

Il caso posto all’attenzione dei giudici della Suprema Corte, infatti, è quello del titolare di un’impresa individuale esercente il commercio all’ingrosso nel mercato ittico il quale era stato condannato3 per aver importato e venduto in Italia una partita di vongole spagnole aventi, all’esito delle analisi di laboratorio compiute su un campione, cariche microbiotiche4 superiori al limite consentito dalla normativa nazionale.

Importazione di vongole spagnole – La difesa: le vongole non ancora vendute e apparentemente integre

L’imprenditore si era difeso sostenendo che la propria condotta non fosse punibile in quanto le vongole erano state rivenute al momento del prelievo nella cella frigorifera dell’azienda e, dunque, non erano ancora state messe in commercio.

Peraltro, esse erano state trovate alla giusta temperatura, senza presentare apparenti anomalie dopo essere state regolarmente acquistate ed importate dalla Spagna ed, in particolare, da una zona che non necessitava di depurazione; di conseguenza, non vi era alcun motivo di sospetto tale da indurre il titolare dell’azienda a sottoporre ad analisi il prodotto che aveva acquistato prima di confezionarlo per la successiva vendita.

La decisione: l’obbligo di controllare la qualità degli alimenti importati

Nonostante tali argomentazioni, la Cassazione ha confermato la correttezza della condanna già comminata nei primi due gradi di giudizio, ritenendo che, nel caso di specie, non si potesse applicare la causa di non punibilità normativamente prevista5 secondo la quale non è sanzionabile la condotta di chi immette in commercio prodotti alimentari nelle confezioni originali, quando la non corrispondenza alle prescrizioni di legge riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei medesimi prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o che l’involucro originale non presenti segni di alterazione.

Infatti, tale causa di non punibilità non si applica quando il prodotto alimentare provenga da un produttore straniero poiché, in tali situazioni, non vi è la certezza del rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge italiana per prevenire il pericolo di frode o di danno alla salute del consumatore.

Ne deriva che il distributore o l’importatore italiano ha, comunque, l’obbligo di verificare la conformità del prodotto mediante controlli che ne garantiscano la qualità, anche quando esso venga importato in confezioni originali.

Inoltre, nel caso di specie, era emerso nel corso del processo subito dall’imprenditore ittico che le vongole in questione erano state trattate e confezionate dalla stessa ditta importatrice e non dall’allevatore spagnolo dei mitili, come peraltro risultava dalla dicitura posta sull’etichetta del medesimo prodotto.

A maggior ragione, gravava sull’imputato, quale importatore dei prodotti alimenti allevati in Paese dell’U.E., l’osservanza dell’obbligo di introdurre in Italia sostanze alimentari rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle disposizioni in materia, tanto più che, nel caso di specie, nemmeno erano state effettuate analisi dalla società estera allevatrice dei mitili.

Ancora una volta, dunque, i giudici del “palazzaccio”, ad intepretazione della normativa nazionale, fissano utili principi cardine per gli operatori del settore alimentare che non vogliano incorrere in sanzioni, a tutela del primario interesse di garentire la sicurezza degli alimenti, siano essi prodotti in Italia o, ancor di più, all’estero.

Avv. Anna Ancona

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1 Cassazione penale, sentenza III sezione, n. 38875 del 14 ottobre 2022

2 Prevista dalla Legge n. 283 del 30/04/1962, già oggetto di numerosi altri commenti su questo blog, come ad esempio, si veda in materia di cattivo stato di conservazione degli alimenti: https://cibodiritto.com/pesce-coperto-di-brina-e-cattivo-stato-di-conservazione/

3 Per il reato di cui agli artt. 5 della legge n. 283 del 30/04/1962 che , in particolare, alla lettera c) stabilisce che: “E’ vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali”. Le sanzioni per la violazione di tale disposizione sono previste e stabilite dal successivo art. 6.

4 Per un approfondimento circa le conseguenze della proliferazione batterica negli alimenti si veda: https://sqpiu.it/quali-fattori-influenzano-crescita-microbica-alimenti-haccp/

5 Dall’art. 19 della Legge n. 283 del 1962.

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