Informazioni per gli acquisti di alimenti – Note sul decreto sanzioni
A maggio scorso è entrato in vigore il decreto che determina le sanzioni per le violazioni del Regolamento europeo n. 1169\2011 in materia di informazioni ai consumatori di alimenti. Qualche prima considerazione.
Il Regolamento 1169\2011: precetti senza sanzioni
Dal 2011, l’Unione Europea ha la sua legge generale sulle informazioni sul cibo: è il Regolamento n. 1169\2011, “relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.”
Il senso di questa normativa è evidente: una delle strade maestre per assicurare la sicurezza alimentare (disciplinata organicamente dall’altro fondamentale testo legislativo, il Regolamento n. 178\2002) e “per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori” è quella di garantire che questi ultimi “siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano”, come si legge nei primissimi “considerando” (le premesse) del Regolamento.
Solo per fare un esempio, su “tutti gli alimenti destinati al consumatore finale” devono comparire indicazioni che vanno dalla denominazione dell’alimento all’elenco degli ingredienti, dagli allergeni al termine minimo di conservazione o data di scadenza.
Si coglie subito la diretta, stringente incidenza di questi precetti (come di tutti quelli in materia di sicurezza alimentare) sulla salute dei consumatori.
Le regole fissate nel Regolamento 1169, però, avevano una lacuna non da poco: erano prive di sanzione.
Ed è noto che un precetto senza sanzione è una vox clamantis in deserto: un avvertimento morale che, al massimo, può far sperare nella sensibilità dei destinatari. Insomma, ha molto poco di giuridico.
Le “pene” avrebbe dovuto fissarle il legislatore nazionale.
Il “decreto – sanzioni”: solo illeciti amministrativi
In Italia, il limbo (per dirla in maniera delicata) di un testo normativo fondamentale sostanzialmente privo di punizioni adeguate (nonostante dopo il 2011 si fosse dichiarata parzialmente applicabile a quel testo l’apparato sanzionatorio previsto da una legge nazionale in materia di etichettatura del 1992) è durato sei anni.
Fino al dicembre 2017, per la precisione, quando è stato approvato il cosiddetto “decreto sanzioni” (D. Lvo 231\2017), entrato in vigore meno di un mese fa: quello che “arma” il Regolamento europeo 1169 del 2011.
Il primo elemento da mettere in evidenza, sul punto, è che quelle introdotte sono tutte sanzioni meramente amministrative, “trattandosi di violazioni connesse a obblighi informativi”, come si legge nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri .
Ciò, però, non toglie che si sia creato un chiaro regime di “doppio binario punitivo”: le violazioni possono costituire, a seconda dei casi, illecito penale (con riferimento a tutte le ipotesi di reato già previste dal nostro ordinamento) o amministrativo.
La gran parte delle norme che introducono le sanzioni amministrative, infatti, si apre con la clausola “salvo che il fatto costituisca reato”.
Le maglie della tutela integrata, quindi, dovrebbero risultare adeguatamente strette.
Anzi, dato che il decreto sanzioni indica, tra le “Autorità competenti all’irrogazione delle sanzioni”, anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – che, quindi, dovrebbe applicare le “sue” sanzioni, decisamente più draconiane – potrebbe porsi a carico dei soggetti responsabili delle violazioni, o presunti tali, una seria questione di sovrapposizione di punizioni (che, per esempio, in caso di pubblicità ingannevole possono arrivare fino alla sanzione amministrativa pecuniaria di 500.000 euro).
Violazioni in materia di allergeni: non punibilità per chi si ravvede
Peraltro, deve segnalarsi una significativa disposizione “premiale” del decreto proprio in materia di allergeni, una delle più nevralgiche in tema di salute, com’è noto: in caso di “mancata apposizione delle indicazioni obbligatorie” (ipotesi che, di norma, viene punita con una sanzione fino a 40.000 euro, il massimo previsto dal decreto), la sanzione non si applica se il responsabile ha avviato immediatamente procedure per ritirare il prodotto e informarne le autorità competenti, quindi prima dell’accertamento della violazione da parte di queste ultime.
Il senso del meccanismo è palese: incentivare il responsabile a rimuovere immediatamente la potenziale situazione di rischio per la salute pubblica derivante dall’infrazione commessa, assicurandogli impunità per quest’ultima.
La tutela penale dell’agro-alimentare: prospettive di riforma
Infine, è il caso di ricordare che il quadro delle sanzioni penali in questa materia potrebbe anche significativamente arricchirsi se, nella legislatura appena iniziata, venisse approvata la riforma dei reati agroalimentari elaborata ormai quasi tre anni fa dalla Commissione Caselli e recepita in un disegno di legge dal Consiglio dei ministri solo nel dicembre scorso, in modo sostanzialmente simbolico dato che si era in una legislatura agli sgoccioli.
In quel testo legislativo, infatti, sono previsti almeno due figure di reato, entrambe di natura delittuosa, rilevanti in questo ambito: anzitutto, quella di “Informazioni commerciali ingannevoli pericolose”, che punirebbe “chiunque mediante informazioni commerciali false o incomplete riguardanti alimenti, pregiudica la sicurezza della loro consumazione con pericolo concreto per la salute pubblica”; poi, quella di “Vendita di alimenti con segni mendaci”, che si applicherebbe a “chiunque, nell’esercizio di un’attività agricola, commerciale, industriale o di intermediazione di alimenti, al fine di indurre in errore il consumatore, […] utilizza falsi o fallaci segni distintivi o indicazioni, ancorché figurative, ovvero omette le indicazioni obbligatorie sull’origine o provenienza geografica ovvero sull’identità o qualità del prodotto in sé o degli ingredienti che ne rappresentano il contenuto qualificante.”
L’etichetta narrante: anche un possibile antidoto alle agromafie
Quello delle informazioni ai consumatori su quello che mangiano è terreno di straordinaria e multiforme importanza: dalla tutela della salute al contrasto delle infiltrazioni (per non dire, ormai, della colonizzazione) delle agromafie nell’economia del cibo.
E’ per questo che oggi si parla (e, nel caso di alcune avanguardie virtuose, si pratica) di “etichetta narrante”, quella che, secondo l’ex Procuratore Caselli, dell’alimento “racconti tutta la verità, niente altro che la verità, relativamente all’origine, produzione, trasformazione, ingredienti del prodotto e via seguitando fino alla data di scadenza”.
Con le norme approvate di recente e, ancor più, con quelle da approvarsi al più presto, come la ricordata riforma dei reati agroalimentari, la strada imboccata potrebbe essere quella giusta.
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