La sansa d’oliva è un rifiuto, non un sottoprodotto. Almeno se abbandonata tra i rovi. – Lo sancisce la Corte di Cassazione.
Il Tribunale di Savona condannava P.C. alla pena di 2.000 Euro di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, perché, in qualità di legale rappresentante della “… s.a.s.” e proprietario per metà di un dato terreno, in concorso con altro imputato poi deceduto, abbandonava rifiuti non pericolosi, costituiti da un cumulo di circa otto metri cubi di sansa d’oliva, proveniente dal frantoio “… s.a.s.”, sul terreno sopra indicato, sul quale insiste un uliveto in stato di abbandono.
L’imputato impugnava la sentenza per Cassazione.
Il motivo di ricorso più significativo è il secondo: “la sostanza depositata sul terreno soddisferebbe le condizioni richieste indicate dal D.Lgs. n. 252 del 2006, art. 184, comma 1-bis, e quindi, trattandosi di sottoprodotto, la relativa attività di gestione non richiederebbe il rilascio di preventiva autorizzazione. Sotto altro profilo, si evidenziava come un teste esaminato in dibattimento avrebbe precisato che, nel caso in esame, non si tratterebbe neppure di sottoprodotto, ma di semplice ammendante.”
La Corte di Cassazione, con una sentenza pubblicata poche settimane fa, rigetta il ricorso (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2020) 06-03-2020, n. 9056).
Quanto allo specifico motivo sopra illustrato, viene reputato anch’esso manifestamente infondato.
I Giudici del Palazzaccio partono da un riepilogo testuale di tutte le “cogenti condizioni” richieste dalla norma di riferimento, l’art. 184 bis del D. Lvo 152\2006, perché una determinata sostanza venga sottratta al regime dei rifiuti per esser qualificata e trattata come sottoprodotto: “a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana“.
A questo punto, la Suprema Corte passa a puntualizzare un fondamentale elemento di natura processuale, più precisamente in materia di onere della prova: “trattandosi di una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, essendo causa di esclusione di responsabilità penale, grava sull’imputato la prova circa la sussistenza delle condizioni appena indicate, che definiscono la categoria di sottoprodotto.”
I Giudici di legittimità concludono il loro ragionamento ribadendo la correttezza dell’operato del Tribunale di Savona il quale aveva escluso la sussistenza delle condizioni richieste dal D.Lgs. cit., art. 184-bis, correttamente confutando l’argomentazione difensiva, sopra accennata, secondo cui la parte sversata sarebbe costituita dalla frazione residua, composta da polpa e pellicino, che può essere utilizzata come ammendante per le sue note proprietà fertilizzanti.
“Invero”, chiosa la sentenza, “il Tribunale ha evidenziato, nel caso in esame, non solo l’assenza della comunicazione preventiva al Comune, prevista dalla L. n. 574 del 1996, art. 3, comma 1, ma un dato di fatto dirimente, obliterato dal ricorrente, ossia che lo sversamento è avvenuto in un oliveto in stato di sostanziale abbandono (essendo le piante coperte di rovi), senza alcuna attività di spandimento e di incorporazione con il terreno, da ciò logicamente desumendo che l’operazione non aveva alcuna finalità agricola, essendo solo il mezzo per disfarsi delle sanse.”
Insomma, è difficile sostenere che una sostanza sarebbe un sottoprodotto, e non un rifiuto, perché destinata ad ammendare i rovi.
La conclusione è scontata: il ricorso è rigettato e l’imputato condannato al pagamento delle spese del giudizio in Cassazione.
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