La tutela legale del vino: tra codice penale, legislazione speciale e “testo unico”
In un post di qualche tempo fa, abbiamo iniziato a trattare il tema nevralgico della tutela legale del vino, secondo il cosiddetto “Testo Unico del vino” (Legge 12 dicembre 2016, n. 238, “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”) e secondo il codice penale.
La recente notizia della condanna del produttore piemontese nel caso del falso Barolo – che pure si è commentata di recente su questo blog – rende decisamente opportuno riprendere il discorso che si era avviato nell’articolo di dicembre scorso per proporre al lettore una veloce – quindi necessariamente sommaria – panoramica dei principali strumenti normativi di tutela di quello che la su citata legge n. 238\2016 definisce, al suo primo articolo, “un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale.”
Partendo dal codice penale, e seguendo l’ordine degli articoli, si rinvengono almeno nove fattispecie di reato applicabili alla materia vino:
° Art. 439 C. P. – Avvelenamento di sostanze alimentari.
- Art. 440 C. P. – Adulterazione pericolosa prima dell’immissione al consumo.
- Art. 441 C. P. – Adulterazione di sostanze alimentari destinate al commercio.
- Art. 442 C. P. – Commercio di sostanze alimentari adulterate o contraffatte pericolose alla salute.
- Art. 444 C. P. – Commercio di sostanze nocive.
- Art. 515 C. P. – Frode nell’esercizio del commercio.
- Art. 516 C. P. – Vendita di sostanze alimentari non genuine
- Art. 517 C. P. Messa in vendita di prodotti industriali con segni mendaci o atti a trarre in inganno sull’origine
- 517 quater (introdotto dalla L. 23 luglio 2009) Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari (quello applicato nel caso dello pseudo Barolo, n.d.r.).
Per rimanere alla tutela penale, ma uscendo dal codice di diritto sostanziale, un cenno meritano, certamente, anche i reati previsti dalla fondamentale legge n. 283\1962 (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), ancora “viva e vitale” nella prassi giudiziaria nonostante la sua veneranda età.
La norma cardine, in questo caso, è l’articolo 5 che prevede una serie di condotte, diverse tra loro ma tutte finalizzate a garantire la massima sicurezza alimentare rispetto a contaminazioni biologiche o chimiche, nonché, più in generale, a ipotesi di cattivo stato di conservazione.
La normativa in questione (della quale ci siamo occupati più volte in questo blog, in generale, fino a pochi giorni fa qui) risulta ancora tanto centrale nel complessivo apparato di tutela delle sostanze alimentari apprestato dal nostro ordinamento giuridico che essa gode di una clausola di priorità espressa nella legge sulla depenalizzazione, n. 689\1981, rispetto ad ipotetiche sanzioni amministrative ugualmente applicabili al caso in questione. In pratica, l’art. 9, c. 3, della legge 689\1981, sancisce che “ai fatti puniti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni ed integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande.”
E’ importante evidenziare, inoltre, che i reati previsti dalla legge del 1962 hanno natura contravvenzionale, contrariamente a quelli disciplinati dal codice, su citati, che hanno tutti natura di delitti.
Infine (almeno in questa sede), vi sono le sanzioni previste dal cosiddetto “Testo Unico”.
Com’è emerso chiaramente dalla trattazione di quelle di cui all’art. 69 in materia di potenziale vitivinicolo, qui si apre il capitolo complicato del rapporto tra illeciti penali (quelli sopra illustrati) e illeciti amministrativi.
La legge 238\2016 non istituisce reati, ma solo illeciti amministrativi.
Tuttavia, quasi tutte le ipotesi sanzionatorie qui previste sono introdotte dalla clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”; il senso di quest’ultima è chiaro: se una stessa condotta rientra contemporaneamente in una previsione di reato e in una sanzione amministrativa, si applicherà solo la prima.
Le implicazioni di questa scelta del legislatore – che non ha trovato proprio un consenso unanime in dottrina, per dirla in maniera delicata – sono varie, anzitutto sotto il profilo dell’effettività delle sanzioni.
Ci si ritornerà sopra a breve, dato che, come sempre in questo Paese, la materia delle sanzioni è “calda”. Almeno nel dibattito tra gli addetti ai lavori; nella prassi economico – commerciale, il discorso può essere diverso.
Perché mancanza di effettività di una regolamentazione vuol dire proprio questo: violazioni di quella normativa senza che si applichino realmente le sanzioni conseguenti; ossia senza che il contravventore paghi dazio.
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