La tutela penale delle api – Note a margine di un procedimento pilota


Le api sono fondamentali per l’ambiente; quindi, anche per gli esseri umani.

Ma sono in grave pericolo.

Ergo, hanno urgente bisogno di tutela.

La notizia è che quella tutela può – anzi, a determinate condizioni, deve – essere anche penale.

E’ una notizia che arriva da Udine, dove la locale Procura della Repubblica di Udine ha istruito un procedimento penale a carico di un gruppo di agricoltori locali cui viene imputato di aver “contributo a cagionare una compromissione e/o deterioramento misurabile e significativo di un apiario posto in prossimità dei fondi” coltivati dagli indagatiricadenti nel raggio d’azione delle api bottinatrici”; apiario che, “a seguito della semina del mais conciato con prodotto fitosanitario MESUROL, subiva un massiccio spopolamento dei pronubi ivi allevati.

L’avviso di conclusione delle indagini notificato di recente agli indagati contiene una serie di elementi, di fatto e di diritto, assai interessanti.

Due su tutti.

Il primo riguarda proprio l’ipotesi di reato contestata: inquinamento ambientale, quello che si commette in presenza di qualsiasi condotta che, abusivamente, causi o concorra a causare “una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili”, per l’appunto.

A quasi cinque anni di distanza dalla sua entrata in vigore, la legge ecoreati, che ha introdotto nel codice penale questo delitto, si conferma, quindi, uno dei provvedimenti legislativi più significativi in materia di tutela dell’ambiente e della salute pubblica adottati in questo Paese di recente. Anche se, in effetti, non ci voleva poi molto a raggiungere questo risultato, dato il livello qualitativo medio della normativa ambientale nazionale degli ultimi decenni.

In ogni caso, la legge 68\2015, in questi suoi primi cinque anni di vita, ha confermato tutta la notevole versatilità applicativa che era facile prevedere, date le formulazioni normative molto ampie che la connotano, come si è visto sopra (anche se è necessario evidenziare che non si hanno ancora pronunce della Cassazione in sede di cognizione, in sostanza sulla colpevolezza o meno degli imputati).

Il procedimento di Udine, quindi, potenzialmente costituisce un sipario alzato su un amplissimo palcoscenico di reati contro l’ambiente e la salute pubblica sulla cui pesante lesività si accumulano ormai evidenze, fattuali e scientifiche: quelli commessi a mezzo di diffusione \ contaminazione da pesticidi.

Il secondo elemento del procedimento in questione che merita un cenno è quello per cui agli indagati si contesta di aver utilizzato “sull’intero campo coltivato i semi conciati in funzione repellente per gli uccelli […] senza aver previamente valutato la reale percentuale di perdita di raccolto in assenza di trattamento della granella e l’eventuale ricorso a metodi alternativi di protezione del seme da danni da uccelli (es. richieste di abbattimento) o a forme di rimborso del danno economico subito (es. assicurazioni specificatamente previste) così violando i principi di difesa integrata ex art. 19 d.lgs. 150/12.

La difesa integrata obbligatoria è stata introdotta nel nostro ordinamento dal su citato decreto legislativo n. 150 del 2012, quello emesso per garantire l’attuazione della direttiva 2009/128/CE in materia di “utilizzo sostenibile dei pesticidi”.

Al comma 1 dell’art. 19 di questa legge, si sancisce che “gli utilizzatori professionali di prodotti fitosanitari, a partire dal 1° gennaio 2014, applicano i principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all’allegato III. La difesa integrata obbligatoria prevede l’applicazione di tecniche di prevenzione e di monitoraggio delle infestazioni e delle infezioni, l’utilizzo di mezzi biologici di controllo dei parassiti, il ricorso a pratiche di coltivazione appropriate e l’uso di prodotti fitosanitari che presentano il minor rischio per la salute umana e l’ambiente.”

Il dato più singolare della vicenda è che questa legge crea chiaramente un “obbligo” a carico di una certa categoria di soggetti; ma non prevede alcuna sanzione in caso di violazione di quell’obbligo, in quanto tale.

Si lascia, pertanto, valutare a chi legge la reale utilità, per non dire il senso stesso, di un “obbligo” e, quindi, di una norma di tal fatta.

D’altronde, questa sorta di allergia alla sanzione – o, quantomeno, a una sanzione appena effettiva – segna, tra l’altro, anche la bozza di Piano d’azione nazionale in materia di pesticidi sottoposta alla consultazione popolare qualche mese fa, come chi scrive ha già messo in evidenza in altra sede.

Quello che il Pubblico Ministero di Udine ha fatto, quindi, è stato valorizzare l’obbligo di difesa integrata, comunque sancito in una norma di legge, per fornire, nella fattispecie concreta, un’ulteriore base giuridica alla contestazione di inquinamento ambientale. Più precisamente, per qualificare come abusiva, quindi illecita, la condotta degli agricoltori che ha provocato la compromissione \ deterioramento ambientale illustrati sopra.

Operazione, questa, assai interessante giuridicamente, ma soprattutto confortata dall’interpretazione pressoché unanime della Cassazione sul punto per cui “la condotta “abusiva” di inquinamento ambientale, idonea ad integrare il delitto di cui all’art. 452-bis cod. pen., comprende [….] anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative.”

Insomma, le api stanno vivendo un momento drammatico anche perché la loro tutela giuridica è affidata a provvedimenti e soggetti ancora troppo timidi, a tacer d’altro; anche in sedi istituzionali da cui sarebbe lecito attendersi tutt’altra sensibilità e affidabilità.

La storia del procedimento di Udine è ancora tutta da scrivere e anche questi indagati sono presunti non colpevoli fino a sentenza di condanna passata in giudicato, ma questa vicenda lascia fondatamente sperare che, in questo paese, si possa provare a invertire la rotta della difesa delle api, delle matrici ambientali e della biodiversità. Partendo addirittura dalla sede che può garantire il livello di tutela maggiore: quella penale.

E’ una buona notizia.

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