Le farfalline della farina e la tutela dell’ordine alimentare
Il legale rappresentante di un panificio industriale piemontese viene condannato dal Tribunale di Biella “perché impiegava nella preparazione di alimenti prodotti da forno – farine di vario tipo insudiciate ed invase da parassiti quali blatte e farfalline della farina.”
Ricorre per Cassazione per un motivo fondamentale: non sarebbe stata raggiunta la prova piena della colpevolezza dell’imputato. Ciò soprattutto perché le foto dello stabilimento scattate dai NAS durante dell’ispezione non sono state mostrate, durante il processo, agli agenti degli stessi NAS che avevano effettuato l’operazione, i quali quindi non hanno potuto confermarle.
La Cassazione liquida il ricorso sulla base di pochi, stringenti principi di diritto, già regolarmente affermati dalla stessa Suprema Corte in altre analoghe occasioni (Cass. pen. Sez. III, Sent., – ud. 06-11-2018 – 21-01-2019, n. 2576):
“Per l’accertamento del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b) e d) (disciplina igienica delle sostanze alimentari), ed in particolare per l’accertamento della condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all’evidenza mal conservati.”
“Per la configurabilità del reato, inoltre, non è necessario l’accertamento di un danno alla salute [….] attesa la sua natura di reato di danno a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.”
“Le foto scattate durante un’ispezione (in questo caso, igienico sanitaria dei N.A.S.) dello stato dei luoghi da parte della P.G., e allegate al verbale di ispezione e di sequestro devono considerarsi atti irripetibili, come tali non più riproducibili, con la conseguenza che [….] possono essere valutate dal giudice come fonte di prova, senza che sia necessaria una conferma da parte dei verbalizzanti in sede dibattimentale.”
Per tutte queste ragioni, la Suprema Corte “dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende”.
La tutela dei consumatori di cibo, a partire dalla loro salute, continua a essere, nella giurisprudenza dei Supremi Giudici, un valore assolutamente prioritario, che, in questo tipo di vicende, si persegue tutelando in via preliminare quel bene fondamentale che è l’ordine alimentare.
+ There are no comments
Add yours