Le pesche, i pesticidi di troppo, la responsabilità del venditore


La Cassazione condanna il titolare di un supermercato per detenzione per la vendita di frutta con pesticidi superiori ai limiti di legge. E il resto della filiera?

Se in un supermercato si rinvengono pesche contenenti pesticidi di troppo rispetto ai limiti di legge, scatta la responsabilità del legale rappresentante della società titolare dell’esercizio commerciale. Lo ha affermato di recente la Suprema Corte in una sentenza che ha ribadito fondamentali principi di diritto in materia di accertamento della responsabilità penale di un soggetto in posizione apicale in strutture complesse; ma che lascia fatalmente dubbi sulla compiutezza di una tutela penale della sicurezza alimentare che colpisce solo l’ultimo anello della catena (sulla base delle informazioni contenute nella stessa sentenza).

Indice

  1. La sentenza

  2. Il (raro) reato in materia di abuso di pesticidi

  3. I principi di garanzia della Suprema Corte

  4. Una tutela penale incompiuta della salute pubblica?

1) La sentenza

In tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante della società gestrice di una catena di supermercati non è, per ciò solo, responsabile, sempreché sia dimostrato che essa è articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all’interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell’esistenza di una apposita delega in forma scritta.”

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2021) 10-03-2021, n. 9406) che ha definito un procedimento penale a carico del legale rappresentante di una s.r.l. perché deteneva per la vendita, presso un supermercato siciliano, pesche nettarine con presenza di pesticidi consentiti ma superiori ai limiti di legge, reato previsto e punito dalla normativa di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. h) e art. 6; la stessa che era stata abrogata da un decreto legislativo di qualche mese fa e poi salvata da un successivo decreto legge.

2) Il (raro) reato in materia di abuso di pesticidi

E’ il caso di rimarcare che la fattispecie di reato in questione è una delle pochissime presenti nel nostro ordinamento giuridico in materia di abuso di pesticidi, essendo gli illeciti in questo campo, di regola, di mera natura amministrativa. L’abrogazione disposta dal decreto legislativo su citato (e poi fortunatamente neutralizzata dal successivo decreto legge) avrebbe, quindi, aperto un ulteriore squarcio nella tela della tutela penale che, in codesto ambito, risulta già fin troppo ridotta e malridotta.

3) I principi di garanzia della Suprema Corte

Per tornare al pronunciamento della Suprema Corte, il principio di diritto sopra riportato è assai rilevante, specie per tutte quelle realtà produttive e commerciali articolate su vari livelli e in diverse sedi operative: significa ribadire, con tutta l’autorevolezza della Suprema Corte, che nel nostro sistema un giudizio di responsabilità penale di una persona non può che essere il frutto di un’analisi concreta della fattispecie concreta, per così dire, ossia della singola, specifica situazione di fatto che si presenta al giudice. Significa, soprattutto, spazzare il campo da qualsiasi forma, pur celata, di responsabilità da posizione, sganciata da una seria valutazione del coefficiente psicologico in capo all’imputato in relazione al comportamento che gli viene contestato.

In due parole, significa nessuno spazio a ipotesi di presunzione di responsabilità; come quella che può avvolgere – in maniera tanto sostanziale quanto subdola – il legale rappresentante di un’azienda particolarmente vasta e ramificata in ordine a fatti, oggettivamente “di dettaglio”, che si verifichino in una singola unità operativa della sua struttura d’impresa.

Questi alti principi di diritto – basilari in un ordinamento, come il nostro, fondato sul principio costituzionale di personalità della responsabilità penale e sul cosiddetto “diritto penale del fatto” – non hanno impedito, peraltro, che la Corte di Cassazione confermasse la sentenza di condanna del titolare della catena di supermercati perché nel giudizio non era stato “offerto al giudice (ovviamente da parte della difesa dell’imputato, ndr) nessun riscontro alle allegazioni difensive circa le dimensioni e l’organizzazione interna, avendo questi evidenziato, del tutto correttamente, la necessità di allegazione, quantomeno, dell’organigramma della società, nonché la documentazione delle eventuali specifiche deleghe e dei poteri conferiti ai singoli responsabili, non avvenuta nel caso in esame.

I Giudici del Palazzaccio hanno poi ulteriormente chiarito il loro pensiero, rimarcando che non si può “pretendere, come sembra sostenersi in ricorso, che il giudice debba limitarsi a prendere atto delle dimensioni dell’azienda e ritenere presunta una ripartizione interna dei compiti perchè sarebbe ‘logicamente impensabile’ che il legale rappresentante di una così complessa struttura possa curare personalmente la commercializzazione di ogni singolo prodotto in ogni singolo punto vendita, dato che una simile situazione, per le ragioni già dette, necessita di essere accertata in fatto sulla base di dati obiettivi, agevolmente ricavabili da documenti.”

Insomma, a carico del legale rappresentante della società titolare di una catena di supermercati nessuna responsabilità penale da posizione derivante solo dal suo ruolo aziendale; ma neanche alcuna forma di immunità derivante dalla medesima posizione.

Nel processo penale va provato tutto: i fatti indicati nel capo d’imputazione da parte della Pubblica Accusa e le eccezioni difensive da parte della Difesa. Chi non adempie il suo onere probatorio, perde il processo. Sono le regole del gioco, piacciano o meno.

            1. Una tutela penale incompiuta della salute pubblica?

A questo punto, solo una domanda finale che sorge spontanea in base alle informazioni sul fatto contenute nella sentenza (che, però, ben potrebbero essere incomplete): quanto è compiuta una tutela penale della sicurezza alimentare, dunque della salute pubblica, dall’abuso di pesticidi che si rivolge solo nei confronti del venditore al dettaglio, ossia dell’ultimo anello della catena (dopo il produttore, il distributore ecc….)?

+ There are no comments

Add yours