Le regole del baccalà
Un commerciante di Asti espone alla vendita baccalà tenuto in acqua con temperatura mai inferiore a 6 gradi, laddove l’etichetta di accompagnamento applicata sul cartone che lo conteneva ne prevedeva la conservazione in frigorifero con una temperatura da 0 a 4 gradi.
Finisce sotto processo, ma il Tribunale di Asti lo assolve, affermando che, in assenza di una normativa relativa alla conservazione del prodotto, le condizioni in cui in concreto il venditore deteneva il pesce già salato erano conformi alle regole di comune esperienza, secondo cui è solo oltre il superamento della soglia di 15 gradi che si profila il rischio di deterioramento.
Il Procuratore della Repubblica ricorre per cassazione contro l’assoluzione.
Fonda il proprio ricorso fondamentalmente su un solo motivo: pur non essendo stati fissati effettivamente dalla legge limiti predeterminati sulla conservazione del baccalà, ciò nondimeno i Regolamenti comunitari del “Pacchetto di Igiene” emanati nel 2004 hanno riformato complessivamente la materia degli alimenti di origine animale e vegetale, attribuendo all’operatore del settore alimentare (OSA) la responsabilità della salubrità dell’alimento in tutte le fasi del processo, dalla produzione alla commercializzazione. Pertanto, se nel caso di specie il produttore ha indicato in etichetta la temperatura di conservazione tra 0 e 4 è perché ha già valutato il rischio, in relazione alle caratteristiche organolettiche del prodotto ed alla quantità di sale impiegato, legato in concreto a quel prodotto; di conseguenza tutti gli operatori e rivenditori devo attenersi a quelle indicazioni in quanto vincolanti.
La Cassazione non è affatto d’accordo con il Procuratore.
Il “Pacchetto Igiene”, e in particolare il Regolamento UE n. 852\2004, sanciscono certamente il principio per cui “gli operatori del settore alimentare sono tenuti a garantire a tutela della sicurezza alimentare un controllo efficace durante tutte le fasi di trasformazione, produzione e distribuzione del prodotto”; prevedendo, in particolare, che “la principale responsabilità per la sicurezza alimentare ricada sull’operatore, che la sicurezza vada garantita in tutta la filiera alimentare e che vada assicurata la catena del freddo per la conservazione degli alimenti che non possono essere immagazzinati a temperatura ambiente.”
Purtuttavia, afferma la Suprema Corte, non può “farsi derivare dalle prescrizioni contenute sull’etichetta apposta sulla confezione del prodotto una specifica portata prescrittiva sulla conservazione di quanto ivi contenuto, valendo queste solo come consigli o indicazioni di massima.” Di conseguenza, “il pericolo dell’alterazione non può essere ipotizzato in via automatica per effetto del solo scostamento delle temperature indicate dal produttore sulla confezione della merce alimentare, tenuto conto che nessuna prescrizione contenuta nei citati regolamenti comunitari conferisce al produttore, in relazione alla tecnologia utilizzata per la conservazione del prodotto, il potere di dettare indicazioni di contenuto precettivo nei confronti dei commercianti al dettaglio, la cui violazione si configuri perciò come una violazione di legge.” (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-11-2018) 07-01-2019, n. 348)
Insomma, quelli del produttore del baccalà ai rivenditori sono solo consigli, che da costoro possono essere accettati ma anche no, senza per questo incorrere nei rigori della legge penale.
Ma, forse, sarebbe bene ascoltarli comunque.
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