La Cina è lontana – L’OMS, l’epidemia, le gride manzoniane e noi
Quelle adottate dai governi europei per provare a contrastare la diffusione dell’epidemia di coronavirus sono misure “too little, too late” rispetto a quelle che, invece, ha messo in campo la Cina, dove tutto ha avuto inizio, e che rappresentano lo sforzo statuale di contenimento di una malattia “più ambizioso, agile e aggressivo della storia”.
Lo scrive The Lancet, in un editoriale di due giorni fa, riprendendo il rapporto finale della commissione internazionale che l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – ha inviato in Cina per un accertamento sul campo dello stato dell’arte: dell’epidemia e delle politiche di contenimento della stessa.
Nelle conclusioni del report si legge, inoltre, che “l’approccio coraggioso della Cina per contenere la rapida diffusione di questo nuovo agente patogeno respiratorio ha cambiato il corso di un’epidemia in rapida escalation e mortale.”
Si elogia “l’uso senza compromessi e rigoroso da parte della Cina di misure non farmacologiche per contenere la trasmissione del virus COVID-19” che “in molteplici contesti fornisce lezioni vitali per la risposta globale”.
Ancora, “il successo della Cina è dovuto largamente a un sistema amministrativo forte [….] combinato con il pronto accordo del popolo cinese a obbedire a rigorose procedure di sanità pubblica.”
Stando ad alcune fonti di stampa (quindi, tutte da verificare), in quel “sistema amministrativo forte” andrebbe ricompreso anche un apparato sanzionatorio che sarebbe tutt’altro che di natura solo amministrativa: la “messa in pericolo della sicurezza pubblica con mezzi pericolosi” potrebbe essere punita anche con la pena di morte.
D’altronde, pena capitale a parte, non sarebbe immaginabile non già lo sforzo statuale di contenimento di un’epidemia “più ambizioso, agile e aggressivo della storia”, ma qualsiasi serio tentativo in questo senso da parte di uno Stato appena degno di questo nome che non facesse leva anche su misure penali adeguate rispetto all’impresa titanica in questione. Come sempre, peraltro, quando c’è di mezzo, in generale, la tutela di un bene giuridico fondamentale; come la salute pubblica, per l’appunto.
Per tornare al rapporto della Commissione OMS, se esso evidenzia ciò che sta permettendo in Cina di sperare realisticamente in un’uscita dal tunnel in tempi più o meno tollerabili, il medesimo testo non contiene elementi altrettanto rincuoranti, per dirla con un delicato eufemismo, per tanti altri Paesi, a partire da quelli occidentali, giacché gli autori rimarcano che “gran parte della comunità globale non è ancora pronta, nella mentalità e materialmente, ad attuare le misure che sono state impiegate per contenere COVID-19 in Cina.”
Per venire all’Italia, per esempio, tutte le misure di contenimento del coronavirus contenute nel Decreto Legge 23/02/2020, n. 6 godono solo della tutela penale costituita dal reato previsto dall’art. 650 del codice penale. In pratica, chi viola le disposizioni viene punito ai sensi di questa norma (art. 3, D.L. 6/20). Stesso discorso vale per il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8\3\2020, quello che crea la “zona arancione”, per intenderci.
Il Ministro della Sanità Speranza ieri ha preannunciato il “pugno duro contro gli atteggiamenti intollerabili.”
E’ il caso, quindi, di dare un’occhiata nel merito al “tirapugni” a disposizione del Ministro, del Governo tutto nonché, soprattutto, dell’Autorità Giudiziaria (perché, in uno Stato di diritto, “i pugni” li tira quest’ultima) per garantire effettività alle misure di contrasto all’epidemia da coronavirus.
Il reato di “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”, di cui all’art. 650 c.p., è una contravvenzione, ossia il tipo di reato meno grave previsto dal nostro codice (quello più grave è costituito dai delitti).
E’ commesso da “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene.”
L’elemento degno di nota, però, viene subito dopo ed è costituito dalla sanzione per i soggetti su citati: “l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a euro 206”.
Per quanto riguarda “la pena detentiva”, per così dire, va annotato solo che oggi, in questo Paese – in grazia di una lunga e variegata lista di sanzioni sostitutive delle pene detentive, misure alternative alla detenzione, previsioni “svuotacarceri”, quando non apertamente e incondizionatamente indulgenziali, che non si può ricostruire in questa sede – è assai più probabile che un condannato “all’arresto fino a tre mesi” contragga il coronavirus piuttosto che finisca in galera.
Quanto, poi, alla pena pecuniaria – alternativa a quella “detentiva” – dell’ammenda draconiana “fino a euro 206”, quando irrogata e “scontata” tal quale, è da evidenziare che essa permette anche una comoda e conveniente definizione tombale della fastidiosa pratica penale, prim’ancora dell’apertura del dibattimento: il contravventore, infatti, può essere ammesso a pagare “una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa,” quindi 103 euro (art. 162 bis, c.p.). “Il pagamento estingue il reato”, naturalmente.
In realtà, in un gran numero di casi, la questione della “repressione” di questi reati viene definita ancor prima e in maniera ancor più radicale da un altro, noto, istituto tipico del made in Italy penale: la prescrizione. Nel caso di una contravvenzione, infatti, anche il mero decorrere di quattro anni (aumentabili fino a cinque, in caso di atti interruttivi) dal momento della commissione del reato, prima che ci sia una sentenza definitiva, estingue automaticamente il reato. E non accade proprio sistematicamente, nei vari uffici giudiziari di questo Paese, che si arrivi a una sentenza definitiva, in un processo penale per una contravvenzione, in cinque anni.
Tutto questo in un momento nel quale, per la stessa emergenza sanitaria, i Tribunali sono anch’essi chiusi per l’attività ordinaria; a chiudere definitivamente il cerchio della “effettività” dell’apparato sanzionatorio in questione.
Questo è “il pugno duro” che questo Stato può tirare, l’apparato di deterrenza penale su cui possiamo realmente contare, allo stato, contro la variopinta e nutrita genia di monumenti nazionali dell’etica civile: da coloro che evadono dalla zona rossa per andare a sciare ai preti che violano impunemente la legge, questa legge, officiando la messa, perché “il mio capo è Dio, non Conte“.
Probabilmente, non è il caso di invidiare i plotoni di esecuzione cinesi, neanche in questo caso.
Ma tra quelli e la caricatura di tutela penale di cui godono oggi, effettivamente, le misure straordinarie di contrasto a un’epidemia che si accinge a diventare pandemia che sono state istituite in questo Paese deve esserci una seria terza via.
Chi scrive non è mai stato un cultore della legislazione penale d’emergenza; ma, se siamo arrivati al punto in cui è stata chiusa per decreto una parte importantissima di Italia e separata coattivamente dal resto della Nazione, non può non porsi anche, con altrettanta urgenza, – o meglio, in via emergenziale, oggi sì! – il problema dell’adeguamento dell’apparato di tutela penale di quelle medesime misure.
In caso contrario, l’unico a ridere di quella caricatura sarebbe il virus.
+ There are no comments
Add yours