L’ordine delle cose (alimentari)


L’ordine alimentare e la sua tutela penale: sono questi i fondamentali concetti sui quali la Corte di Cassazione ha fondato la sua più recente pronuncia in materia di cattivo stato di conservazione di alimenti; reato previsto dalla “storica” (ma evidentemente ancora assai attuale) legge n. 283 del 1962 – “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”. (Cass. pen. Sez. III, Sent.,  – ud. 09-05-2018 – 31-08-2018, n. 39318).

Il legale rappresentante di un’azienda agrituristica deteneva per la successiva distribuzione per il consumo alimenti (circa 26 Kg di salumi, insaccati, formaggi nonché vari altri) in cattivo stato di conservazione.

In particolare, i cibi erano “detenuti in malo modo all’interno di un vano frigo e privo di qualsiasi informazione ed etichettatura per la sicurezza alimentare ed atteso che gli alimenti congelati erano sottoposti a congelamento in maniera abusiva senza l’osservanza di idonea procedura a tal fine, erano attinti da brina e bruciature da freddo ed erano conservati all’interno di frigo congelatore ad uso domestico privo di rilevazione della temperatura”.

L’imputato veniva, quindi, condannato per il reato in questione.

Ricorreva, pertanto, per cassazione perché il giudice di primo grado avrebbe “fondato la decisione sulla documentazione fotografica in atti che era stata realizzata successivamente al dissequestro degli alimenti e sulla errata considerazione che il reato contestato aveva natura di reato di pericolo”.

La Suprema Corte respinge le contestazioni dell’imprenditore (che, in questo caso, potrebbe essere qualificato più propriamente come “Operatore della sicurezza alimentare – Osa”), ribadendo principi già consolidati nella sua giurisprudenza.

“Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento.”

Elemento centrale nella ricostruzione di questo illecito confermato anche in questa sentenza: non è necessario un danno alla salute, perché, come si accennava all’inizio, questo è un “reato di danno a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.”

Una tutela del bene giuridico (l’ordine alimentare medesimo) molto anticipata, quindi, per un reato che scatta molto presto: “è necessario (solo) accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze.”

E, ultima, pesante, affermazione dei supremi giudici, ai fini di quell’accertamento non c’è neanche “la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile a seguito di una semplice ispezione.”

Insomma, ancora una pronuncia del supremo organo giudiziario nazionale assai rigorosa a tutela di quello che, evidentemente, è diventato un bene giuridico fondamentale: l’ordine alimentare.

 

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