Merluzzi mal conservati e prova del reato: secondo la Cassazione bastano i sensi
Dopo il favoloso mondo delle frodi alimentari, si torna a quello, non meno variopinto e fecondo, della vendita o distribuzione di alimenti alterati, mal conservati, contaminati, insudiciati ecc…., illeciti penali tutti previsti e puniti dalla vecchia – ma, a quanto pare, sempre vitalissima – legge n. 283 del 1962.
Stavolta alla Suprema Corte di Cassazione è toccato occuparsi di prodotto ittico in cattivo stato di conservazione ed inidoneo al consumo umano; naselli, per la precisione.
Imputato del reato in questione era il responsabile del reparto pescheria di un esercizio commerciale, condannato in primo grado.
Costui ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, lamentando sostanzialmente che non fossero stati effettuati, durante tutto il procedimento penale, esami tecnici di natura chimica e microbiologica sul pesce per accertarne “scientificamente” lo stato di alterazione.
La Cassazione, in una recentissima sentenza, ha rigettato il ricorso sulla base della sua giurisprudenza assolutamente granitica sul punto, che è stata ripresa e applicata anche in questo caso: “ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), l’accertamento del cattivo stato di conservazione degli alimenti non richiede necessariamente il prelevamento di campioni e l’analisi di laboratorio degli stessi, potendo essere sufficiente anche l’ispezione dei prodotti e la conseguente prova testimoniale.” (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-10-2019) 21-11-2019, n. 47284)
In sostanza, per i giudici del Palazzaccio basta l’accertamento “empirico” degli organi di polizia che intervengono sul posto.
Accertamento che è costituito anzitutto dall’osservazione, ma anche dal tatto, come ricorda la stessa Suprema Corte citando un altro precedente analogo in tal senso.
Infine, la Cassazione fornisce una sua “risalente e persuasiva spiegazione” di questo orientamento: “il prelievo di campioni e le relative analisi delle sostanze alimentari e delle bevande ai fini della disciplina igienica della loro produzione e vendita si rendono necessari per determinare la natura e la composizione delle materie stesse e non già per accertare lo stato di conservazione dei prodotti che cade sotto il controllo dei sensi (olfattivo e visivo) e che è rimesso all’esame ispettivo degli organi sanitari all’uopo preposti”.
Assai interessante è, poi, la descrizione dell’esame visivo ed olfattivo dei merluzzi in questione effettuato dal veterinario, sulla base del quale la Corte ha ritenuto provato il loro cattivo stato di conservazione: “occhio infossato ed opaco, opercolo di colore bruno scuro con forte odore ammoniacale, addome flaccido e cute parzialmente ricoperta da muco”. Praticamente, un prezioso prontuario di autodifesa alimentare in ambito ittico per qualunque consumatore.
Per riepilogare, la Corte di Cassazione conferma se stessa: quando c’è di mezzo la tutela della salute pubblica, per condannare per questo tipo di reati è sufficiente una “prova empirica” della condizione di alterazione del prodotto e, quindi, della situazione di pericolo per la salute pubblica che ne deriva.
I diritti di difesa dell’imputato, forse, non ne escono proprio esaltati; ma – diversamente da quanto accaduto nella sentenza (emessa dalla stessa terza sezione) sul salame alla salmonella di cui pure ci siamo di recente occupati in questo blog – sulla specifica questione dei mezzi di prova di questo tipo di reati la Suprema Corte, tra quei diritti e il diritto alla sicurezza alimentare della collettività, ha ormai effettuato una chiara opzione di campo a favore di quest’ultima.
Toccherà a tutti prenderne atto.
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