Metti un sabato romano


Metti un sabato romano, di agricoltura, di sostenibilità, di salute, di vino.

Metti un’associazione di viticultori che fanno vini naturali, concetto su cui si è già scritto qualcosa su questo blog, ma bisognerà tornarci.

In ogni caso, si può dire sin d’ora, in sintesi estrema, che un vino “naturale” è tale perché dovrebbe risultare meno dannoso, molto meno, di un vino convenzionale per la salute degli umani e per quella dell’ambiente.

Mettici che questi strani contadini abbiano l’ambizione di produrre vini sani ed ecosostenibili, sia nel senso di sostenibili ecologicamente che economicamente. Insomma, che quei vini, tra le altre cose, siano il cuore di un’attività lavorativa, imprenditoriale; che sostengano le loro aziende e le loro vite, assicurando loro un reddito adeguato.

Aggiungici che quei produttori vogliano perseguire quegli obiettivi non proprio minimali senza fondamentalismi alcolici, senza dichiarare guerre sante ai bevitori infedeli; in maniera laica.

Utilizzando anzitutto la scienza, e non la stregoneria: nel senso di analisi razionale, di misurabilità oggettiva e di ricerca, in campo e in laboratorio. E metti che, a questo fine, durante una degustazione – evento dei loro prodotti, questi garbati “enodissidenti”, per dirla con Luigi Veronelli, invitino un agronomo e un’oncologa a discutere di “Sostenibilità ambientale alla base della viticoltura del futuro

E, poi, ipotizza che vogliano usare per il loro progetto anche “il diritto”, ossia un corpo di regole di produzione del vino: un disciplinare, in breve, la cui effettiva applicazione da parte degli associati è garantita da un apparato di controlli e, di fatto, di sanzioni. Per essere credibili anzitutto nei confronti di chi quel vino andrà a comprarlo e a berlo; magari pagandolo anche qualcosa in più di un suo omologo “convenzionale”; perché quello è un vino naturale, per l’appunto.

Supponi che assaggi qualcuno di quei vini in degustazione e li trovi molto diversi l’uno dall’altro, al naso e al palato, più o meno piacevoli; ma tutti, irriducibilmente, di costituzione robusta. E, con buona probabilità, anche sana, per quanto accennato sopra. E qui la descrizione dell’assaggio deve fermarsi perché chi scrive è mero simpatizzante enoico, in quanto tale munito di un vocabolario tecnico – degustativo assai limitato.

Metti che queste idee strane sul ruolo del vino e dell’agricoltura sull’ambiente, per non dire dell’impatto delle azioni della specie umana sulla biodiversità, sugli ecosistemi, sulle stesse prospettive di sopravvivenza di questo pianeta, prima o poi inizino a uscire dalla nicchia delle minoranze etiche, ovunque collocate nel mondo produttivo e nella società, per diventare prassi appena più diffusa.

Immagina che gruppi, più o meno ampi, di piccoli benefattori della terra, ma soprattutto di se stessi, potrebbero riparare, anche solo in piccola parte, i disastri provocati dai “più grandi malfattori di tutti i tempi”, per dirla con la sedicenne Greta Thunberg.

Forse, sarebbe troppo. Forse, qui, l’immaginazione scadrebbe in fantasia.

Di sicuro, però, quelle avanguardie di resistenza terragna, quelle cooperative di mutuo soccorso gastro – sensoriale non si renderebbero complici della causazione della “sesta estinzione di massa”; proverebbero a salvarsi la coscienza.

E, con quella, il piacere di bere una bottiglia di vino buono e pulito.

Non sarebbe poco.

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