Operazione “vino fantasma”: o della tutela del bio, delle doc e del vino genuino – Alcune semplici domande


Ghost Wine: vino fantasma.

Così è stata ribattezzata l’ennesima operazione di contrasto all’enopirateria, portata a termine appena due giorni fa.

Più precisamente, 10 milioni di litri di “prodotto vinoso”, custoditi in 89 contenitori, sequestrati su disposizione della magistratura di Lecce dai carabinieri del Nas e dall’Ispettorato Repressione Frodi in un’azienda salentina.

Tre presunte associazioni per delinquere commerciavano quel “prodotto vinoso” a basso costo, spacciandolo come bevanda di qualità o addirittura biologica, Doc e Igt.

In breve, una frode, a base di vino adulterato.

L’ennesima, per l’appunto.

A fronte della quale sono scattate varie ipotesi di reato a carico dei soggetti ritenuti responsabili, a quanto si legge dalle cronache: frode nell’esercizio del commercio, vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Il punto sono le pene che quei reati prevedono: rispettivamente, la reclusione fino a due anni o la multa fino a euro 2.065 (la frode in commercio); la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a euro 1.032 (la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine); la reclusione fino a due anni e la multa fino a euro 20.000, nel caso della contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, che ovviamente si applica solo in presenza di prodotti DOC \ IGT.

La domanda che sorge spontanea, a quanto punto, non può che essere una: quanto sono effettive – anche e soprattutto, tenendo conto di meccanismi tipici del nostro ordinamento come la prescrizione – e, quindi, efficaci in chiave di effettiva valenza deterrente sanzioni di questo tipo contro fenomeni criminali radicati e capillarmente diffusi come quello di cui si tratta in questo articolo?

Insomma, quanto è realmente tutelato il nostro cibo e il nostro vino, nonché la nostra salute, da norme e sanzioni penali come queste?

E, quindi, se la risposta a questi interrogativi è facilmente intuibile, ne deriva fatalmente un altro, ancor più “scabroso”: perché la riforma dei reati agroalimentari, a più di quattro anni dalla sua elaborazione da parte della Commissione Caselli  – che, solo per dirne due, prevede misure come il reato di agropirateria e una specifica tutela penale del biologico, a mezzo di un’apposita aggravante al reato di frode in commercio – è letteralmente scomparso dai radar parlamentari, ma, prim’ancora, dal dibattito pubblico?

 

 

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