Pesca abusiva del corallo rosso e inquinamento ambientale – La Cassazione torna sugli ecoreati in ambito marino


La legge ecoreati è stata oggetto di un nuovo vaglio della Corte di Cassazione, questa volta in tema di pesca illegale di corallo rosso.

E la Suprema Corte ha confermato, anche in questo caso, l’impostazione consolidata nelle, ormai numerose, pronunce che ha avuto modo di rendere in questa materia da quando è entrata in vigore la legge n. 68\2015.

A V. C. veniva applicata la misura cautelare dell’obbligo di dimora in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 452-bis, comma 1, n. 2 cod. pen., concorso in inquinamento ambientale (introdotto nel nostro codice penale dalla legge su citata). In particolare, al soggetto si contestava di aver cagionato, unitamente ad altri correi, una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino della zona denominata “Fondali marini di Punta Campanella e Capri” effettuando la pesca abusiva di corallo rosso mediterraneo, in assenza di titolo abilitativo e con modalità vietate, ossia mediante pesca subacquea con uso di bombole e un metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso.

L’indagato proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza cautelare per vari motivi.

Il più rilevante, in questa sede, è il secondo: secondo la difesa, “nel caso in esame, troverebbero applicazione le disposizioni di cui al d.lgs. n. 4 del 2012, che, in quanto legge speciale, prevalgono sulla fattispecie di cui all’art. 452-bis cod. pen.

La Cassazione, in una pronuncia di poche settimane fa, rigetta il ricorso (Cass. Sez. III n. 9080 del 6 marzo 2020 (CC 30 gen 2020)).

Lo specifico motivo su riportato, in particolare, viene dichiarato “manifestamente infondato”.

La Suprema Corte effettua una preliminare e sintetica ricognizione della normativa invocata dall’indagato: “come recita l’art. 1 d.lgs. 09/01/2012 n. 4 (“Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”), tale corpo normativo si propone la finalità di provvedere “al riordino, al coordinamento ed all’integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura”; a tale scopo, il capo I disciplina l’“attività di pesca e di acquacoltura” in tutti gli ambiti in cui essa si declina (pesca professionale, acquacoltura, impresa ittica, pesca non professionale).”

A questo punto, i Giudici del Palazzaccio passano a esaminare brevemente l’apparato sanzionatorio previsto dalla legge del 2012, invocata dal ricorrente, e affermano che “il capo II è dedicato alle “Sanzioni”: l’art. 7 prevede una serie di divieti (al dichiarato fine di “tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale”), la cui violazione è penalmente sanzionata, come mera contravvenzione, dal successivo art. 8, il quale è applicabile, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

E’ proprio quest’ultima formulazione che, secondo i Supremi Giudici, consente di risolvere agevolmente la questione dei rapporti tra le sanzioni previste dalla legge speciale sulla pesca e il delitto di inquinamento ambientale, nel senso della chiara prevalenza di quest’ultimo.

Orbene”, conclude la Suprema Corte, “diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l’eventuale concorso di norme è risolto da tale clausola di sussidiarietà espressa, in forza della quale trova applicazione la più grave fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452-bis cod. pen., che incrimina il cagionare abusivamente una “compromissione” o un “deterioramento”, che siano “significativi” e “misurabili”, di uno dei profili in cui si declina il bene “ambiente”, come descritti al n. 1 e al n. 2 del comma 1: un fatto che, peraltro, nemmeno è sussumibile nella violazione dei divieti elencati dall’art. 7.”

In pratica, l’inquinamento ambientale è reato più grave e indubbiamente applicabile al caso di specie; ergo, prevale sugli altri reati eventualmente configurabili.

A poco più di un mese dal compimento del suo primo lustro di vita, quindi, la legge ecoreati supera il suo ennesimo esame da parte della Corte di legittimità di questo paese, che la dichiara applicabile a tutti gli effetti anche a condotte di grave aggressione agli ecosistemi marini.

E’ una buona notizia per la tutela penale dell’ambiente nazionale.

Tanto più apprezzabile quanto più arriva in un momento della vita del paese dal quale scaturisce qualcosa di molto simile a un ultimatum a riconvertire, finalmente, l’economia, la vita sociale, i comportamenti quotidiani di ognuno di noi verso una prioritaria tutela dell’ambiente, degli ecosistemi, della biodiversità.

Perché, ormai, la posta in gioco è diventata terribilmente alta.

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