Pesce coperto di brina: è cattivo stato di conservazione


La Corte di Cassazione conferma la sua giurisprudenza consolidata in questa materia, ribadendo gli elementi fondamentali del reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione.

Una recente sentenza1 della Suprema Corte di particolare interesse, specialmente per gli Operatori del Settore Alimentare (OSA), perché conferma una giurisprudenza di lungo corso del “Palazzaccio” in merito al reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione, che, per quanto contenuta in una legge risalente a sessant’anni fa, risulta ancora oggi centrale nella tutela penale della sicurezza alimentare in questo Paese. Un utilissimo promemoria per gli stessi OSA ai fini di una consapevole gestione del rischio penale all’interno di un’azienda agroalimentare.

Indice

  1. Il fatto: il cattivo stato di conservazione

  2. La sentenza

  3. Il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione

  4. L’ordine alimentare e le lezioni per gli OSA sulla detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione

1) Il fatto

I Carabinieri del N.A.S. di Catanzaro, nel corso di un’ispezione igienico sanitaria effettuata presso uno stabilimento balneare sito in Vibo Valentia, riscontravano, all’interno di un manufatto in cemento adibito a deposito di alimenti e bevande, una cella frigo contenente prodotti ittici di vario genere in cattivo stato di conservazione; in particolare, tali prodotti risultavano ricoperti di brina da congelamento e, in parte, presentavano bruciature da freddo, senza alcuna indicazione della non consumabilità. Venivano, inoltre, rinvenute sei confezioni di salmone affumicato scadute. I militari, peranto, procedevano alla denuncia del titolare dell’esercizio commerciale, per il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione2 e al sequestro della merce in questione.

Il Tribunale della libertà conferma il sequestro.

L’imputato ricorre per Cassazione.

2) La sentenza

Tra i vari motivi del ricorso, il più rilevanti ai fini di questo articolo è certamente quello con il quale l’imprenditore contesta i fatti che gli sono contestati; in particolare, afferma che i prodotti ittici non erano conservati in locali carenti dei requisiti igienico-sanitari.

La Corte rigetta questa affermazione e, più in generale, il ricorso.

Anzitutto, ribadisce che il procedimento in questione è di carattere cautelare, ossia non si decide della colpevolezza o innocenza dell’indagato, ma solo se ci siano le condizioni per mantenere il sequestro della merce, cioè un provvedimento cautelare.

Questo significa, in estrema sintesi, che gli elementi di prova a sostegno della tesi del Pubblico Ministero, per la conferma del sequestro, possono essere assai più lievi rispetto a quelli che occorrono per confermare una sentenza di condanna.

Fatta questa precisazione, la Suprema Corte sancisce che il Tribunale della libertà ha agito correttamente quando ha ritenuto che i fatti descritti sopra potessero integrare, a carico del legale rappresentante dello stabilimento balneare, il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non essendo discutibile che le concrete modalità di conservazione nelle quali fu rinvenuta la merce in sequestro, che peraltro si trovava in un locale che presentava anche carenze strutturali ed igienico-sanitarie, fossero idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento degli alimenti, con conseguente pericolo di danno alla salute per i consumatori.

In particolare – per come è risultato anche dal fascicolo fotografico – i prodotti ittici erano ricoperti da brina da congelamento (derivante, sulla base di comuni nozioni, dall’alterazione della confezione di sottovuoto) e, in parte, presentavano delle bruciature da freddo, circostanze, queste, che logicamente inducevano a ritenere che gli alimenti fossero detenuti in quel posto e in quelle condizioni da molto tempo.

Questi prodotti, rammenta la Corte, erano inoltre conservati insieme a confezioni di salmone scadute da oltre dieci giorni.3

3 Il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione

A questo punto, i Giudici del Palazzaccio richiamano la loro stessa giurisprudenza che ha chiarito che, per far scattare il reato in questione previsto dalla legge del 1962, non è necessario che il cattivo stato di conservazione degli alimenti detenuti per la vendita si riferisca alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, ma è sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche di conservazione con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza.

In buona sostanza, esplicita la Cassazione, il cattivo stato di conservazione si presenta in tutte quelle situazioni in cui le sostanze alimentari si presentano mal conservate, con la conseguenza che non si richiede, per la sussistenza del reato, che le sostanze alimentari siano variamente alterate o depauperate, ma è sufficiente che esse siano destinate o avviate al consumo in condizioni che ne mettano in pericolo l’igiene e la commestibilità.

Quella brevemente esaminata è, quindi, una sentenza che si pone in una linea di perfetta continuità con la produzione giurisprudenziale largamente consolidata della Suprema Corte in questa materia, per la quale – vale la pena ribadirlo ancora – il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento – senza che sia necessaria a tal fine la produzione di un danno alla salute.4

4) L’ordine alimentare e le lezioni per gli OSA

Questo perché quello previsto dalla legge del 1962 è un reato “di pericolo” a tutela del cosiddetto ordine alimentare; volto, cioè, ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.

L’ordine alimentare è una vecchia conoscenza, dato che ce ne siamo più volte occupati su questo blog.

Qui è solo il caso di rammentare che esso, secondo la medesima giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, costituisce il primo bene giuridico tutelato dalla legge 283 del 1962. Anzi, da quella lunga lista di sentenze di legittimità conformi tra loro possiamo ormai ragionevolmente dedurre che l’ordine alimentare rappresenti il cuore delladisciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, che costituisce “il titolo” della legge stessa.

Un ordine che, a quanto pare, ci vuol davvero poco a violare.

Comunque la si pensi sul punto, è una constatazione che bisognerà tenere nella massima considerazione da parte di tutti. Specie da parte di quegli OSA di cui si parlava all’inizio.

Avv. Stefano Palmisano

 

Per consulenze e assistenza giudiziale in materia di reati agroalimentari e diritto della sicurezza alimentare in generale: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it

 

1Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 27/01/2022) 28/04/2022, n. 16305

2Previsto e punito dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. B).

3Su questo punto, è opportuno richiamare la fondamentale distinzione tra termine di scadenza e termine minimo di conservazione (TMC) di un prodotto alimentare; ma sopratutto rammentare che detenere per la vendita o vendere un alimento scaduto o, ancor più, un prodotto il cui TMC sia stato superato non costituisce perciò stesso reato. A tal proposito, un’utile ricostruzione si trova qui: https://ilfattoalimentare.it/termine-minimo-di-conservazione-reato.html

4“E’ il caso di rammentare che, secondo lo stesso orientamento della Suprema Corte, ai fini dell’accertamento del cattivo stato di conservazione dei prodotti alimentari non c’è neanche “la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile a seguito di una semplice ispezione.” (Cass. pen. Sez. III, Sent., – ud. 09-05-2018 – 31-08-2018, n. 39318).

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