
Pesce mal conservato e reato: non servono analisi
Riprendiamo le pubblicazioni su questo blog con un evergreen: il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione. In una sua recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio giuridico fondamentale, con riferimento a una partita di pesce mal conservato presso un esercizio commerciale: per l’accertamento del reato non sono necessarie analisi di laboratorio, ma è sufficiente un esame “a occhio”.
Indice
Pesce mal conservato: la storia
Pesce mal conservato: la sentenza
Conclusioni e consigli
1) Pesce mal conservato: la storia
La signora Mina è titolare di un esercizio commerciale.
Riceve un controllo e i Nas scoprono nel suo negozio, pronti per la somministrazione, 150,00 kg. di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione1, in quanto conservati in ambienti e condizioni igieniche precari, arbitrariamente congelati e ricoperti di brina. In particolare, si tratta di alimenti conservati in un pozzetto congelatore malfunzionante, in involucri di plastica non alimentari, non sigillati, a diretto contatto con il ghiaccio e privi di etichettatura.
La signora Mina viene, quindi, denunciata, processata e condannata per il reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione2.
Ricorre per cassazione contro la sentenza di condanna sostenendo che il reato non sussisterebbe per una serie di motivi, il più significativo dei quali riguarda la presunta necessità, a fini di prova – secondo l’imprenditrice – di analisi di laboratorio ai fini dell’accertamento del reato. Siccome queste analisi nel processo a carico della signora Mina non sono state effettuate, secondo la sua difesa questo comporterebbe l’impossibilità di affermare il reato e, quindi, di condannare l’imputata.
2) Pesce mal conservato: la sentenza
La Corte di Cassazione3 rigetta l’argomentazione dell’Operatrice del Settore Alimentare, ricordando il suo orientamento consolidato in questa materia: ai fini dell’affermazione del reato in questione, il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica (verbale ispettivo, documentazione fotografica, o altro) e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti.
L’illecito, prosegue la Suprema Corte, sussiste nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione. A questo fine, i Giudici di Piazza Cavour richiamano una serie di loro precedenti sentenze secondo cui l’accertamento del cattivo stato di conservazione degli alimenti non richiede necessariamente il prelevamento di campioni e l’analisi di laboratorio degli stessi, potendo essere sufficiente anche l’ispezione dei prodotti e la conseguente prova testimoniale.
Il senso di questa pronuncia ricalca, come già evidenziato, in maniera fedele l’impostazione classica della Cassazione in questo campo: il cattivo stato di conservazione si presenta in tutte quelle situazioni in cui le sostanze alimentari si presentano mal conservate.
Di conseguenza, non si richiede, per la sussistenza del reato, che le sostanze alimentari siano variamente alterate o depauperate, ma è sufficiente che esse siano destinate o avviate al consumo in condizioni che ne mettano in pericolo l’igiene e la commestibilità.
Ciò poiché il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, esiste quando è accertato che le concrete modalità di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento – senza che sia necessaria a tal fine la produzione di un danno alla salute.
3) Conclusioni e consigli
In due parole, per questo reato non serve che l’alimento mal conservato abbia causato un danno alla salute: basta che abbia costituito un pericolo.
E, secondo i Giudici del “Palazzaccio”, questo tipo di reato può essere accertato “a occhio”, a costo di usare un lessico giuridico non proprio ortodosso.
Se sei un Operatore del Settore Alimentare, ti consiglio caldamente di tenere ben presente la vicenda della signora Mina e le utilissime lezioni che dovresti trarne.
2\2\2024
Avv. Stefano Palmisano
Se hai necessità di una consulenza o di assistenza legale in materia di normativa alimentare, scrivi una mail a: info@cibodiritto.com
1Del reato di detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione, in questo blog ci siamo occupati più volte. In particolare, è il caso di ricordare un post di qualche anno fa dedicato a un caso di pesce coperto di brina, assai simile a quello oggetto di questo articolo, in cui pure era stato ritenuto sussistente il reato. In quel caso, i Giudici ritennero che la brina da congelamento derivasse, sulla base di comuni nozioni, dall’alterazione della confezione di sottovuoto. Inoltre, il pesce presentava delle bruciature da freddo, circostanze, queste, che inducevano a ritenere che gli alimenti fossero detenuti in quel posto e in quelle condizioni da molto tempo. Il post lo si può leggere qui: https://cibodiritto.com/pesce-coperto-di-brina-e-cattivo-stato-di-conservazione/
2Previsto e punito dagli articoli agli artt. 5, comma 1, lett. b), e 6 , Legge 30/04/1962, n. 283, che si riporta nella versione attualmente in vigore, per comodità del lettore:
“E’ vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:
a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali;
b) in cattivo stato di conservazione;
c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali;25
d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;
[…]
g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali;
h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo. Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo.”
3Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 09/06/2023) 05/10/2023, n. 40504
+ There are no comments
Add yours