Pesticidi, tutela ambientale, sicurezza alimentare, vino sostenibile – Spigolature sul cibo che verrà (o che dovrebbe venire)


In certi posti, che ambirebbero ad essere annoverati tra i patrimoni dell’umanità, si propagano da un vigneto, durante l’ennesimo trattamento, e si intrudono nell’abitacolo di un’auto di passaggio, saturandolo in un battibaleno e facendo finire la malcapitata conducente in ospedale.

In altri, per combattere il loro abuso, tramite il quale sono stati impestati due tra i principali laghi del centro Italia, viene creata, dalle autorità preposte, una vera e propria “task force”; come fossero un’emergenza ambientale e di salute pubblica. E lo sono, infatti.

Altrove, nelle valli più alte, ossigenanti e apparentemente incontaminate del paese, diffondendosi dai meleti che punteggiano quelle zone dai panorami mozzafiato, contaminano persino i parchi giochi; inverando, così, una delle paure più radicate nell’immaginario dei bambini: la mela avvelenata.

In molte altre zone, sono considerate la causa, o quantomeno una delle concause più rilevanti, di quella specie di pre-estinzione che sta sterminando la popolazione delle api, una delle specie animali più nevralgiche per la salvaguardia degli ecosistemi, nonché più utili per l’essere umano: in appena trenta anni, dal 1980 al 2010, la popolazione mondiale di api e vespe si è ridotta del 36%.

Una “pre-estinzione” che si colloca in quella dinamica pressoché apocalittica che molti scienziati ormai non si peritano di definire tecnicamente “sesta estinzione di massa”, con la quale, pure,  le entità in questione avrebbero parecchio a che fare.

Tanto che una benemerita avanguardia ambientalista di cittadini europei ha lanciato un’iniziativa a tutela di questi fondamentali insetti: una raccolta di firme. Il progetto si chiama “Salvate le api! Protezione della biodiversità e miglioramento degli habitat per gli insetti in Europa” e si pone tra gli obiettivi la drastica riduzione dell’uso di pesticidi. Obiettivo: un milione di dichiarazioni di sostegno entro un anno, da almeno sette diversi Stati membri, per indurre la nuova Commissione Europea a rispondere entro tre mesi, decidendo di dare seguito alla richiesta o meno, con un parere motivato.

Si sta parlando dei cosiddetti “fitofarmaci”, naturalmente: farmaci assai peculiari, invero, dato che, per trattare terapeuticamente la pianta affidata alle loro cure, tendenzialmente fanno terra bruciata della gran parte del vivente che sta intorno a questa. Compreso qualche organo dei corpi umani che hanno la mala ventura di stazionare, per qualsiasi ragione, vicino ai campi “curati” con queste sostanze.

In tutto ciò, quello che è ormai perfettamente comprensibile a chiunque – o almeno a chiunque non abbia motivi, più o meno “concreti”, per non capire – è che va cambiata una serie di paradigmi economici, sociali e culturali. Senza perdere un solo altro attimo di tempo.

A partire da quelli agroalimentari.

Il modello della rivoluzione verde, iniziata dopo la seconda guerra mondiale, è esaurito” anche e soprattutto per “l’enorme costo ambientale” che ha comportato: lo ha certificato poco più di un anno fa la Fao a Roma, nell’intervento di apertura del 2° Simposio internazionale di agro-ecologia.

Questi fenomeni degenerativi, per usare un eufemismo, avranno, e in molte zone del pianeta, hanno già, un impatto significativo anche sulla quantità e qualità del cibo a disposizione degli umani, come si specifica in un altro rapporto Onu su biodiversità e pesticidi reso pubblico nel marzo di quest’anno.

Per questo, l’agricoltura biologica e, più in generale, ogni forma di agroecologia e i loro operatori hanno una responsabilità non da poco: diventare l’agricoltura “convenzionale” del futuro, perché si possa “offrire cibo sano, nutriente e accessibile a tutti, servizi ecosistemici sani e stabilità climatica”, per citare sempre la Fao.

La produzione di cibo sostenibile deve diventare la regola: non ci sono alternative valide a questa ipotesi.

Ne va della stessa sopravvivenza del pianeta; senza alcuna enfasi o forzatura retorica.

In questo discorso, rientra naturalmente anche il vino.

Anzitutto, perché anche questo prodotto subirà, e in parte sta già subendo, conseguenze gravi dallo stravolgimento del clima e dei cicli naturali.

Ma il vino non è solo vittima, può anche essere un notevole carnefice dell’ambiente e degli ecosistemi: la viticultura ormai può risultare ambientalmente assai dannosa come, e in alcuni casi anche più, di ogni altra produzione agricola.

Anche per il vino del futuro, quanto più imminente possibile, quindi, la “normalità” deve essere la sostenibilità.

Questo dovrà significare vino biologico.

Ma anche vino naturale.

Il che non potrà che voler dire regolamentazioni serie, stringenti e cogenti di tutte le forme di vino sostenibile.

Perché quando un fenomeno sociale diventa serio, sotto il profilo della sua diffusione e del suo impatto sulla società, ha bisogno di una normazione altrettanto seria; specie se esso inizia ad avere anche, com’è giusto e meritato che sia, una notevole valenza economica.

E questo vale, anche e soprattutto, in materia di tutela dell’ambiente e della sicurezza enoalimentare; dove, ormai, la posta in gioco è diventata, anch’essa, terribilmente seria, a quanto pare.

Ne riparleremo.

 

 

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