Report ICQRF 2019 – Il cibo, i controlli, la (precaria) tutela, la cittadinanza attiva


“55mila controlli, 513 interventi fuori dei confini nazionali e sul web. Oltre 390 notizie di reato, circa 72 milioni di kg di merce sequestrata per un valore di oltre 301 milioni di euro.

Sono solo alcuni dei dati del “Report Attività Operativa ICQRF 2019”, l’Ispettorato Centrale per la tutela della Qualità e la Repressione delle Frodi dei prodotti agroalimentari alle dipendenze del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, rapporto pubblicato appena ieri.

E’ da segnalare che quasi un terzo di quei controlli (18.179) hanno interessato il settore vitivinicolo, che non a caso continua a registrare una particolare vulnerabilità a fenomeni frodatori di varia natura, come si è già messo più volte in evidenza su questo blog e come continua a essere confermato, con regolarità degna di miglior causa, dalla cronaca giudiziaria ancora questi giorni.

La valutazione che viene fatta dai vertici del MIPAAF a corredo di questi dati contenuti nel report è che essi “confermano l’efficienza, la qualità del lavoro e la passione con cui costantemente le donne e gli uomini dell’ICQRF tutelano le produzioni agroalimentari italiane, il lavoro di milioni di produttori italiani e i cittadini.”

Non c’è alcun motivo per dissentire da quest’affermazione in sé.

Ma, se si approfondisce appena il discorso sullo stato effettivo della tutela delle produzioni agroalimentari e del lavoro di milioni di produttori, per non dire della fiducia e della stessa salute dei cittadini, la musica cambia in maniera significativa.

Perché in quel caso occorre analizzare anche e soprattutto il quadro giuridico e giudiziario di quella tutela, a partire dal nevralgico ambito penale.

Si sta parlando della sede nella quale sfociano fatalmente i controlli che effettua l’ICQRF e gli altri enti pubblici preposti; più precisamente, della fase nella quale quella meritoria attività di controllo e repressione delle frodi può essere sancita e capitalizzata – se, all’esito di un giusto processo che abbia provato l’esistenza di reati, i responsabili vengano sottoposti alle sanzioni previste dalla legge –oppure svuotata e svilita – laddove il quadro normativo e, in primis, l’apparato sanzionatorio risultino, in concreto, inadeguati, per non dire “simbolici”, quindi sostanzialmente criminogeni.

Sulle criticità e lacune di quell’apparato e sul ritardo nella sua revisione legislativa ci siamo pure più volte soffermati su queste pagine.

Qui è solo il caso di aggiungere che notizie come la pubblicazione del report da cui siamo partiti ricordano che l’omissione di quella riforma, quella dei reati agroalimentari, diventa meno comprensibile ogni giorno che passa.

O forse, proprio per questo, perfettamente comprensibile.

Di sicuro, del tutto imperdonabile.

Resta un elemento di conforto: la crescente consapevolezza nella società al tema delle insidie e delle aggressioni di varia natura – contraffazioni, adulterazioni, sofisticazioni… – al cibo, dunque ai diritti e alla salute di chi lo mangia.

Anzitutto per la benemerita attività di divulgazione e sensibilizzazione delle organizzazioni della cittadinanza attiva in questo ambito nevralgico.

Quando, poi, a queste ultime si uniscono anche le Istituzioni, si può realizzare un circuito virtuoso di autentica pedagogia civile all’autodifesa alimentare.

Come accadrà sabato 15 febbraio a Fasano (Br), per esempio, in un utile convegno organizzato dalla condotta Slow Food – Piana Degli Ulivi e dal Comune, cui parteciperà anche chi scrive.

E’ un buon segno: anche e soprattutto perché le riforme legislative più incisive e durature sono sempre state precedute da un progresso nella coscienza civile.

Questo principio non può non valere anche per un elemento fondamentale, a livello individuale prima che civile, come il cibo e le sue regole.

 

 

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