Riforma reati agroalimentari: segnali di vita dal governo. Ma è solo l’inizio di una lunga marcia.


Avantieri, 25 febbraio, è stato un giorno importante per la tutela penale dell’alimentazione e della salute pubblica.

Il Consiglio dei Ministri ha finalmente approvato il disegno di legge di riforma dei reati agroalimentari, il cui articolato è stato consegnato dal Presidente della Commissione istituita proprio a tal fine, Giancarlo Caselli, all’allora Ministro della Giustizia nell’ormai remoto ottobre 2015.

Di questo tema, ci siamo più volte occupati, più o meno diffusamente, su questo blog, illustrando in maniera sintetica le più significative innovazioni che questo provvedimento comporterebbe per la tutela del patrimonio agroalimentare, di chi lo produce onestamente e di che ne fruisce a tavola: dall’affinamento del sistema sanzionatorio delle frodi alimentari (con la previsione di una specifica aggravante in caso di “falso bio”) alla creazione della emblematica figura di “disastro sanitario”; dall’allargamento della responsabilità da reato delle aziende anche a questo tipo di crimini alla previsione di cause di non punibilità per i fatti più lievi, subordinata alla realizzazione di successive, concrete condotte riparatorie da parte degli stessi autori; fino all’introduzione del significativo reato di “agropirateria”. Con una menzione particolare per due nuovi delitti che sarebbero introdotti in materia di informazioni ai consumatori: quello di “Informazioni commerciali ingannevoli pericolose”, che punirebbe “chiunque mediante informazioni commerciali false o incomplete riguardanti alimenti, pregiudica la sicurezza della loro consumazione con pericolo concreto per la salute pubblica”; e quello di “Vendita di alimenti con segni mendaci”, che si applicherebbe a “chiunque, nell’esercizio di un’attività agricola, commerciale, industriale o di intermediazione di alimenti, al fine di indurre in errore il consumatore, […] utilizza falsi o fallaci segni distintivi o indicazioni, ancorché figurative, ovvero omette le indicazioni obbligatorie sull’origine o provenienza geografica ovvero sull’identità o qualità del prodotto in sé o degli ingredienti che ne rappresentano il contenuto qualificante.”

Abbiamo già fatto presente in quelle occasioni che quello licenziato dalla Commissione è un buon testo, che prova seriamente a colmare le falle più profonde che il tempo e il tumultuoso progredire della modernità – nonché dei fenomeni criminosi in questo ambito, per entità e qualità – hanno aperto nell’apparato normativo, e sanzionatorio in particolare, di tutela, fondato su reati ideati, rispettivamente, nel 1962 (quelli della principale legge speciale in questa materia) e nel 1930 (quelli contenuti nel codice penale).

Un testo che, magari, può essere affinato e migliorato in sede di dibattito parlamentare; ma che non merita di essere picconato, come ha immancabilmente iniziato a fare, immediatamente dopo che la bozza Caselli era stata resa pubblica, quella dottrina penalistica che non dismette mai le posate da pesce e il sopracciglio alzato.

Quella stessa dottrina che risulta, a volte, tanto faconda e implacabile censora verso gli sforzi riformatori di chi prova a tappare un vuoto, per non dire una voragine, di tutela – specie in caso di beni giuridici fondamentali, come la salute pubblica – quanto era stata afasica e atarassica di fronte a quella stessa voragine che inghiottiva diritti inalienabili e bisogni sacrosanti di masse di soggetti spesso deboli. E non è fuori luogo sottolineare che questa curiosa scissione si verifica specie quando si tratta di alcuni tipi di reati e di alcuni tipi di rei: in colletto bianco, per lo più.

Succede oggi con la riforma dei reati agroalimentari, è successo cinque anni fa con la legge sugli ecoreati: due riforme che hanno molti punti di contatto, materiali e simbolici. Tanto che, se dovesse passare anche la prima, dopo gli ecoreati, si chiuderebbe un cerchio virtuoso di tutela in due dei più nevralgici ambiti della società del rischio cui sono, più o meno, esposti tutti, ma proprio tutti i cittadini: cibo e ambiente.

Oggi abbiamo solo da ribadire un auspicio: che l’iter parlamentare che dovrebbe portare questa bozza normativa (perché di questo ancora si tratta) a diventare finalmente legge dello Stato sia appena meno accidentato e defatigante di quanto è stata la prima parte della sua esistenza, ormai nel sesto anno di vita.

Dipenderà da tanti fattori.

Anche e soprattutto – proprio come successe ai tempi della legge ecoreati – dalla capacità che avranno i settori più avanzati della cittadinanza attiva e dell’imprenditoria sana di mettersi in rete e in movimento per far sentire sui parlamentari tutta la pressione morale e civile di chi chiede quella che, in fondo, non è che un’espressione del fondamentale diritto a un cibo sicuro.

Un diritto di i cittadini – consumatori.

Di tutti noi.

 

 

+ There are no comments

Add yours