Ruanda: un picccolo Paese dalle grandi visioni ambientali
CiboDiritto oggi allarga i suoi orizzonti, geografici e culturali.
Il dottor Marino Martellotta ci parla di uno Stato che nell’immaginario di chi è anagraficamente poco più di un millennials è emblema di uno dei genocidi più sanguinosi del secolo scorso: il Ruanda.
Un Paese, però, a quanto scrive “il nostro inviato in Africa”, che pare esser stato capace di risorgere letteralmente dalle sue ceneri e dai suoi orrori, facendo leva anzitutto sulla questione ecologica.
Tanto da esser ormai diventato “un piccolo Paese dalle grandi visioni ambientali”, per riprendere il titolo dell’articolo che segue.
Domani, 22 maggio, è la giornata mondiale della biodiversità.
Questo blog è doppiamente lieto di ospitare in quest’occasione un pezzo come questo.
Il cui autore si presenta così:
Marino Martellotta, dopo la laurea in Giurisprudenza a Bari, ha conseguito il Master di 2° livello in “Scienze della sicurezza ambientale” presso La Sapienza di Roma.
Già funzionario del Corpo Forestale dello Stato, attualmente si occupa di sicurezza ambientale in Italia ed all’estero.
Uno Stato nel cuore dell’Africa, poco più grande della Sicilia, il Ruanda ha conosciuto una delle maggiori tragedie del XX secolo, il genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati del 1994. Ed a quella data erano fermi i miei ricordi di notizie riguardanti il paese delle mille colline. Un milione di morti in poco più di tre mesi.
Così, quando alla fine del 2017 mi è stato proposto di condurre un progetto pilota di formazione della polizia ambientale in Ruanda, la mia mente è subito andata a rispolverare quelle terribili immagini della mattanza coi machete. La mia risposta è stata spontanea (in stretto vernacolo barese): “ma perché, si può andare in Ruanda?!”. Pur essendo il mio interlocutore avvezzo allo slang romano, ha prontamente intuito la mia esternazione tra la sorpresa e l’angoscia.
Dopo una disamina più lucida, corroborata da un doveroso aggiornamento delle informazioni in mio possesso sulla attualità del Paese, ho appreso che il Ruanda è riuscito ad assurgere velocemente alla posizione di Stato capofila dell’Africa sullo sviluppo sostenibile, adottando delle politiche ambientali interessanti ed all’avanguardia, ben giustificanti il progetto propostomi di formare la RNP (Rwanda National Police) ed i Rangers dei meravigliosi Parchi naturali dei monti Virunga – dove la compianta zoologa Dian Fossey pagò con la vita la sua battaglia in difesa dei Gorilla di montagna – sulle tecniche di contrasto ai crimini ambientali.
Così, la curiosità mi ha spinto a partire per questa interessante esperienza nel gennaio del 2018, che mi ha permesso di conoscere un Paese meraviglioso.
Dopo la ferocia scatenata dalla follia umana un quarto di secolo fa, la scelta operata dai superstiti verso la strada del perdono e della riconciliazione è stata preferita a quella della vendetta; ciò ha permesso di creare una delle società più avanzate e sicure dell’intero continente africano. Una grande lezione da Uomini di Stato illuminati. Non ci sono infatti molti posti in Africa dove dei ricchi e biondi europei possono girare in tranquillità e sicurezza senza restare segregati nei vigilati, ricchi e finti quartieri per occidentali, fare shopping nei mercati popolari o, addirittura, praticare del running per le strade di campagna.
La cultura della sicurezza e della riconciliazione nella visione ruandese viene affiancata ad una attenta e rigorosa policy ambientale. Il “plastic bag ban”, col quale è stato vietato l’uso dei sacchetti di plastica non biodegradabile, risale al 2006, mentre l’UE ha fissato tale obiettivo entro il 2021… All’atterraggio nel piccolo aeroporto di Kigali, il viaggiatore che si trovi a varcare la dogana con uno shopper di plastica, si vedrà privato con garbo e fermezza del suo contenitore non biodegradabile.
E’ illegale importare, produrre, utilizzare o vendere sacchetti di plastica ed imballaggi, eccetto in settori specifici; ma l’approccio del Ruanda è su un altro livello rispetto alle nostre blande e tardive normative: chi viene beccato a “contrabbandare” plastiche illegali, può essere non solo multato, ma anche punito con l’arresto fino a 6 mesi. Invece, i responsabili di aziende che conservano o fabbricano sacchetti di plastica, rischiano fino ad un anno di carcere: attività commerciali piccole e grandi sono state chiuse per aver avvolto la merce nel cellophane ed i loro proprietari hanno dovuto vergare delle pubbliche lettere di scuse.
Immediati sono stati gli effetti pratici sul territorio: sovente, i rifiuti plastici occludevano i canali idrici o fognari che, viste le frequenti piogge equatoriali, causavano alluvioni ed allagamenti: il problema non esiste più. In un paese che, tra l’altro, non ha sbocchi al mare, le acque degli splendidi grandi laghi non sono più afflitte dalle plastiche che invece stanno uccidendo i mari e gli oceani (marine litter), con ampio giovamento delle tanto importanti quanto scarse risorse ittiche ruandesi.
Ricordiamo anche che il Ruanda è il Paese con la maggiore densità di popolazione del continente africano. L’espansione demografica e la limitatezza della risorsa “suolo”, impongono l’adozione di politiche di sviluppo differenti rispetto a quelle ormai classiche. Infatti, tecnologie di rete (Kigali è già dotata di fibra ottica, prima città in Africa), parità di genere, sviluppo sostenibile sono le carte su cui questa nazione si gioca il proprio futuro. Non è un caso che il Ruanda oggi sia il Paese col maggior tasso percentuale di donne in Parlamento al mondo.
Tutti i cittadini (compreso il Presidente!) sono impegnati – ope legis – per una giornata al mese nella pulizia delle strade e dei giardini. Il Ruanda è divenuto un esempio per molti Stati dell’Africa orientale che stanno traendo ispirazione dai risultati che il piccolo Paese sta ottenendo per orientare le proprie politiche in materia ambientale, ma v’è da dire che risultati soddisfacenti sono raggiungibili soltanto grazie ad una vera ed efficace lotta alla corruzione, base necessaria per il successo di ogni politica ambientale, di sicurezza e di progresso. Presupposto che appare solido in Ruanda, ma così non è nella maggior parte dei paesi africani.
A chi vi scrive è sembrato che gli sforzi che sta compiendo il piccolo Rwanda, stiano ad indicare a quanti avranno la voglia e la forza di guardare più avanti rispetto al proprio naso o del mandato elettorale (la cui unità di misura è appunto il naso) una strada nuova verso un progresso sostenibile e libero dalle catene di origine colonialista.
Marino Martellotta
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