Scarichi e rifiuti – Differenze e conseguenze
Il legale rappresentante di un allevamento di suini viene condannato per il reato di Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256, c. 1, lett. a), D. Lvo 152\2006) per avere “smaltito ed abbandonato sul suolo gli effluenti prodotti dal proprio allevamento”
Ricorre per cassazione fondamentalmente per un motivo: “lo scarico di reflui provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame non sarebbe prevista dalla legge come reato, integrando ormai un illecito amministrativo in ragione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, che, al comma 7, come modificato con novella di cui al D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2, comma 8, ha equiparato alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attività di allevamento di bestiame.”
Insomma, secondo la difesa dell’imputato il reato contestato a quest’ultimo sarebbe stato, ormai, depenalizzato; quindi, egli dovrà essere assolto perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato.
La Cassazione è di tutt’altro avviso (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-12-2018) 06-02-2019, n. 5813).
Secondo i Giudici del Palazzaccio, “la disciplina sui reflui trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento, atteso che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. h), definisce quale scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immissione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di collettamento.”
La sentenza adduce una serie di precedenti giurisprudenziali, della stessa Suprema Corte, a sostegno della ricostruzione su citata.
In realtà, è lo stesso testo della norma in questione (l’art. 74, lett. ff, D. Lgs. 152; e non l’art. 183, come indicato nella medesima sentenza, per un evidente refuso) a fornire una definizione di “scarico” che va chiaramente nella direzione indicata dalla Corte di legittimità.
In pratica, l’elemento discriminante tra lo scarico e il rifiuto è costituito dalla presenza di un impianto stabile a mezzo del quale avvenga l’immissione nell’ambiente (o, più precisamente, nel “corpo ricettore”), dal ciclo di produzione, delle sostanze (“reflui”) in questione.
L’eventuale presenza del sistema di collettamento “creerà” normativamente lo scarico; l’assenza, invece, farà sussistere il rifiuto.
Le conseguenze concrete – ossia, sanzionatorie – della diversa qualificazione giuridica potranno essere sensibilmente diverse; fino alla stessa depenalizzazione del fatto – reato ascritto all’imputato, in determinate fattispecie concrete.
Nel caso di specie, per la Cassazione, ci si trovava in presenza di “acqua proveniente dall’impianto di condizionamento sito nelle stalle dei maiali la quale, cadendo in terra, defluiva mischiandosi al materiale organico che si trovava sul pavimento interno della stalla per poi convogliare all’esterno tramite un buco posto in basso all’estremità di una parete”.
Quindi, nel provvedimento impugnato si faceva “riferimento proprio ad effluenti da allevamento che, mescolandosi ad acqua, defluivano fuori della stalla spargendosi sul suolo per la spinta autoprodotta dei liquidi e senza un sistema di diretto collettamento, così da integrare lo smaltimento contestato nel capo di imputazione.”
Per queste ragioni, i reflui sono da inquadrarsi come rifiuti a tutti gli effetti, non scarichi.
Le conseguenze sono scontate: la Cassazione “dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.”
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