Solfiti nella carne: è reato, ma giustifica sempre l’arresto?
Il titolare della macelleria che, prima della distribuzione per il consumo, aggiunge dei solfiti alla carne fresca destinata alla vendita commette il reato di adulterazione di sostanze alimentari1.
Ma ciò non sempre giustifica la privazione della libertà personale dell’imputato nella fase cautelare del procedimento penale che egli subisce.
Vediamo perchè.
La condotta di adulterazione delle sostanze alimentari
Per adulterazione si intende la condotta di chi modifichi una sostanza alimentare attraverso un procedimento nel quale si aggiungono ad essa o si sostituiscono alcuni elementi, con l’effetto artificioso di far apparire come genuino un prodotto che tale non è o come avente determinate caratteristiche di qualità di cui, in realtà, esso sia carente.
Si tratta di una condotta punita molto serveramente dal nostro codice penale che prevede la reclusione da tre a dieci anni per chi si rende responsabile di tale reato, visto il pericolo arrecato alla salute pubblica.
Un delitto che si differenzia, tuttavia, da quello meno grave, ma spesso concorrente e successivo, di messa in vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine2 che tutela non il bene giuridico dell’incolumità pubblica, bensì quello della buona fede degli scambi commerciali3.
L’utilizzo di solfiti nella carne
Occorre precisare che la normativa4 consente l’utilizzo di solfiti, ovvero di additivi chimici, negli insaccati, ma lo vieta categoricamente per le carni fresche poiché esso può risultare seriamente pericoloso per la salute dei consumatori di questi alimenti.
I solfiti5 rappresentano un ingrediente allergenico e sono gli unici ad essere soggetti a una soglia di tolleranza (pari a 10 mg/kg sul prodotto finito, in caso di alimenti solidi. 10 mg/l per i liquidi), come sancisce il fondamentale regolamento europeo in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori.6
Una eccessiva concentrazione di tale sostanza può, infatti, provocare in soggetti allergici o intolleranti delle serie conseguenze come, ad esempio, shock anafilattici e, nei casi più gravi, purtroppo a volte anche verificatisi e trattati dalla giurisprudenza, addirittura la morte di chi mangia il prodotto adulerato.7
Il caso in esame: i solfiti nella carne e il reato
La vicenda oggetto di esame della sentenza della Cassazione8, come in altri casi simili, vedeva coinvolto il proprietario di un esercizio commerciale di macelleria che aveva adulterato alcuni prodotti carnei da lui detenuti, prima della loro distribuzione per il consumo, rendendoli pericolosi per la salute pubblica a causa della presenza di solfiti che erano stati rivenuti in essi.
Il macellaio, infatti, al fine di rendere alcune salsicce di un colore più appetibile in modo da farle sembrare fresche più a lungo, aveva aggiunto ad esse una polverina contenente solfiti, seppur in una quantità minima e di poco superiore la soglia consentita dalla legge.
Al macellaio “manipolatore” era stata, perciò, applicata dal giudice delle indagini preliminari la misura cautelare degli arresti domiciliari per evitare che egli, in attesa della definizione del processo penale a suo carico, potesse ripetere sempre nell’ambito della propria attività commerciale la condotta criminosa già posta in essere, esponendo nuovamente a rischio la salute degli ignari consumatori di salsicce.
La decisione della Cassazione
Molto più benevoli si sono rivelati i giudici prima del Tribunale della libertà di Torino che hanno annullato il provvedimento di custodia del macellaio disposto dal Giudice delle indagini preliminari, riportando l’uomo in libertà; e poi quelli della Suprema Corte che hanno confermato la posizione del tribunale torinese.
Secondo loro, infatti, l’uso di solfiti negli alimenti, seppure in misura di poco superiore alla soglia individuata dalla legge come limite di liceità, può certamente integrare il delitto di adulterazione delle sostanze alimentari.
Ciò, però, non è sempre una ragione sufficiente a giustificare la privazione della libertà dell’imputato poichè bisogna tenere in debita considerazione il quantitativo della sostanza contenuto nell’alimento contaminato e sottoposto ad analisi di laboratorio.
Nel caso di specie, esso superava solo di poco il valore ammesso dalla legge e, dunque, non costituiva un elemento di gravità tale da far ritenere attuale e concreto il pericolo che il macellaio potesse ripetere la propria condotta di adulterazione dell’alimento, tanto da arrestarlo.
Per dirla in breve: una manipolazione alimentare di poco superiore al limite soglia per la Cassazione non è sintomatica di un pericolo di ripetizione della condotta di adulterazione del cibo e, quindi, non va punita con una misura cautelare tanto severa quanto quella degli arresti domiciliari.
Probabilmente, non è altrettanto automatico giungere alla medesima conclusione quando il pericolo di cui si parla è quello, ben più serio, della sicurezza di ciò che acquistiamo e mangiamo, visto che a pagarne le conseguenze è la nostra salute.
3\6\2022
Avv. Anna Ancona
Contattaci per consulenze e assistenza legale in materia di diritto agroalimentare e della sicurezza alimentare: info@cibodiritto.com
Previsto e punto dall’art. 440 c.p.
Previsto e punito dall’art. 516 c.p.
3 Si tratta di fattispecie criminose già analizzate in molti altri contributi presenti in questo blog come, ad esempio, in materia di tutela legale del vino: https://cibodiritto.com/la-tutela-legale-del-vino-tra-codice-penale-legislazione-speciale-e-testo-unico/
Decreto mnisteriale del 27/02/1996, n. 209.
5 Per un approfondimento in materia di solfiti nei cibi e degli effetti nocivi che essi possono produrre si veda https://www.ilgiornaledelcibo.it/solfiti-negli-alimenti-vino/
Reg. UE 1169/11, Allegato II, punto 12
7E’ il caso di rammentare brevemente, a tal proposito, un’altra sentenza della Suprema Corte avente a base una tragica vicenda. Il titolare di una macelleria aveva posto in commercio carne tritata fresca, aggiungendo notevoli concentrazioni di additivi alimentari, più precisamente proprio solfiti. La carne era stata consumata da una ragazza che, a causa dei solfiti, aveva subito una reazione da shock anafilattico con arresto cardio circolatorio. La giovane, dopo avere consumato polpette preparate in casa con la carne guasta, aveva accusato una forte tosse e gravi crisi respiratorie, a seguito delle quali aveva perso i sensi. Nel corso del trasporto in ospedale, venivano riscontrati arresto cardio circolatorio e cianosi; i successivi esami avevano verificato che la crisi respiratoria e l’arresto cardiaco erano stati all’origine della ipossia celebrale, con danni irreversibili. La sventurata era allergica ai solfiti e veniva accertato nella parte residua di carne acquistata presso il macellaio e congelata, che la stessa conteneva una concentrazione di solfito di sodio pari a 10,7 g/Kg., percentuale che risultava presente nei campioni di carne analizzata presso la macelleria dell’imputato. Ad ulteriore aggravante per l’autore del delitto, vi era il fatto che un cliente aveva già denunciato questo comportamento del macellaio. Ciononostante, quest’ultimo aveva continuato a vendere il prodotto con criminale spregiudicatezza. La Cassazione aveva, quindi, confermato la sentenza di condanna a quattro anni di reclusione per lo stesso reato di adulterazione di sostanze alimentari. (Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 08/05/2014) 30/05/2014, n. 22618)
Cass. Pen. Sez. I, 10 settembre 2021, n. 33741
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